Lo Stato ad amministrazione disaggregata

di Sabino Cassese
Abstract

Siamo in una fase di passaggio da uno Stato ad amministrazione compatta a uno Stato ad amministrazione disaggregata. Nello Stato ad amministrazione disaggregata si riscontra la presenza, oltre che di enti pubblici, di tutte le figure giuridiche soggettive proprie del diritto privato: associazioni, fondazioni e società. Tra le funzioni svolte dagli enti parastatali le principali sono di due tipi: quello che comprende compiti strumentali all’apparato statale e quello che include erogazione di servizi a beneficio diretto della collettività. Tra l’apparato statale e quello parastatale sorgono tensioni, dovute al fatto che il primo cerca di sottoporre a stringenti controlli pubblicistici il secondo. L’organizzazione disaggregata può essere considerata espressione del pluralismo amministrativo, caratterizzato da più centri di cura di interessi pubblici, aperti alla dimensione europea e sovranazionale. La disaggregazione dello Stato, infine, favorisce l’intervento dei giudici nell’attività amministrativa.

Sommario:  1. Dallo Stato ad organizzazione compatta allo Stato ad organizzazione disaggregata. — 2. Gli organismi satelliti. — 3. Morfologia dello Stato ad organizzazione disaggregata. — 4. Le tensioni tra Stato ad organizzazione compatta e Stato ad organizzazione disaggregata. — 5. La pluralizzazione dello Stato. — 6. Governare la molteplicità.

 

1.Dallo Stato ad organizzazione compatta allo Stato ad organizzazione disaggregata. — I linguisti segnalano che il lemma parastato si è diffuso negli anni Sessanta del secolo scorso ed è in quel periodo, dunque, che si comincia a riflettere su uno dei più importanti cambiamenti della storia dello Stato: l’inizio del passaggio da uno Stato ad amministrazione compatta, a uno Stato ad amministrazione disaggregata (più tardi, si dirà dalla piramide alla rete (1).

Questo passaggio ha comportato almeno tre cambiamenti. L’amministrazione da unitaria è divenuta differenziata, da gerarchica frammentata, da uniforme differenziata, tanto che è invalso il termine «adhocrazia» per indicare che si sono attenuate o perdute le tre caratteristiche tradizionali, della unitarietà, della gerarchia e della uniformità.

Tuttavia, nonostante che sia trascorso più di mezzo secolo, il tema non è stato studiato se non episodicamente, e comunque mai nella sua complessità.

Ci si propone qui di passare prima in rassegna alcun esempi di organismi satelliti, di analizzare poi la morfologia delle amministrazioni disaggregate, di indicare infine i problemi che l’organizzazione lenticolare pone in termini di controllo e di governo del pluralismo amministrativo.

2. Gli organismi satelliti. — Si passano in rassegna, solo a scopo esemplificativo e senza pretesa di completezza, alcuni degli organismi che fanno ora parte dell’organizzazione satellite.

La pianificazione della logistica è stata affidata dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti alla società Uirnet — Piattaforma logistica nazionale digitale, organismo di diritto pubblico costituito da società interportuali nel 2005 e operante sotto la vigilanza del ministero. La società per azioni Sogesid, costituita nel 1994 con capitale interamente pubblico, detenuto dal Ministero dell’economia e delle finanze, svolge attività di ingegneria per il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e per il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare.

Per la gestione del fondo unico di giustizia, alimentato con i proventi dei sequestri, e dei crediti di giustizia, opera la società per azioni Equitalia Giustizia, istituita nel 2008, sotto la direzione del Ministero della giustizia, con partecipazione totalitaria del Ministero dell’economia e delle finanze.

Per lo studio, la formazione, l’assistenza e la promozione della previdenza complementare, il Ministero dell’economia e delle finanze si avvale della società Mefop – Sviluppo del mercato dei fondi pensione (1999), nella quale ha una partecipazione di maggioranza, accanto a una di minoranza dei fondi pensione. Allo stesso ministero fanno capo l’Invimit – Investimenti immobiliari italiani, società di gestione del risparmio, le cui azioni sono tutte detenute dal ministero, costituita nel 2013 per lo sviluppo del patrimonio immobiliare pubblico, in vista della riduzione del debito pubblico, nonché Invitalia – Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa, costituita nel 1999 con la denominazione Sviluppo Italia, trasformata in quella attuale nel 2007, società le cui azioni sono interamente possedute dal ministero, con lo scopo di gestire incentivi per la nascita di nuove imprese e di start-up innovative.

Per l’elaborazione degli indicatori sintetici di affidabilità fiscale e la determinazione dei fabbisogni standard, nel 1999 è stata istituita la società Sose – Soluzioni per il sistema economico, con partecipazione del Ministero dell’economia e delle finanze e della Banca d’Italia.

Per gli acquisti delle pubbliche amministrazioni, nel 1997 è stata costituita la società Consip, le cui azioni sono tutte detenute dal Ministero dell’economia e delle finanze, che detiene anche tutte le azioni della Sogin, costituita nel 1999 per smantellare gli impianti nucleari e per la gestione dei rifiuti radioattivi.

L’ente pubblico Agenzia delle entrate – riscossione, è stato istituito nel 2016 come ente strumentale dell’Agenzia delle entrate, subentrata alle società del gruppo Equitalia dal 2017.

Per l’analisi delle politiche pubbliche, il monitoraggio e la valutazione delle politiche del lavoro, dell’istruzione e delle politiche sociali, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali si vale dell’Inapp – Istituto per l’analisi delle politiche pubbliche, ente pubblico di ricerca (2016, ma frutto della trasformazione dell’Isfol, istituito nel 1973). Lo stesso ministero, per il coordinamento delle politiche del lavoro per le persone in cerca di occupazione e la ricollocazione dei disoccupati, si vale dell’Anpal – Agenzia nazionale politiche attive del lavoro, ente pubblico istituito nel 2015 per coordinare le politiche del lavoro per le persone in cerca di occupazione e la ricollocazione dei disoccupati.

Il Ministero dell’istruzione si avvale dell’Invalsi – Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo e di formazione, ente pubblico di ricerca istituito nel 1999 sulle ceneri del Centro europeo dell’educazione, esistente dal 1974.

Il Ministero dell’università e della ricerca si avvale di un ente pubblico, l’Anvur – Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca, istituita nel 2006.

L’elenco potrebbe continuare con equivalenti istituzioni a dimensione nazionale e locale, e con società o altri organismi dipendenti dai primi (ad esempio, Anpal servizi, società dipendente da Anpal, o le società dipendenti da Invitalia, quelle del gruppo Sogin e quelle di Agenzia delle entrate – riscossione).

Un elenco non completo e una divisione in categorie si trova nell’«Elenco delle amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato», redatto in base all’art. 1, co. 3, l. n. 31 dicembre 2009, n. 196. L’elenco è compilato dall’Istat, secondo criteri dettati da Eurostat, per ragioni che attengono alla finanza pubblica. Le categorie sono le seguenti: agenzie fiscali (tra cui quella del demanio), enti di regolazione economica (ad esempio, quello del farmaco); enti produttori di servizi economici (tra cui l’Acquirente unico); autorità amministrative indipendenti; enti a struttura associativa (per esempio l’Associazione dei comuni – Anci); enti produttori di servizi assistenziali, ricreativi e culturali (tra cui è inclusa la Croce rossa italiana); enti e istituzioni di ricerca (ad esempio l’Agenzia spaziale italiana); amministrazioni locali; fondazioni lirico sinfoniche; teatri nazionali e di rilevante interesse culturale; università e istituzioni di istruzione universitaria; altre amministrazioni locali (ad esempio, Napoli holding srl); enti nazionali di previdenza e assistenza sociale (come quello dei farmacisti). Va però anche tenuto presente che l’Istat censisce tredicimila istituzioni pubbliche e centomila unità locali.

Anche una rassegna incompleta e meramente esemplificativa come questa permette di comprendere che il fenomeno al quale si vuole far riferimento va oltre quello che è invalso chiamare del parastato. Il parastato consisteva principalmente nella formazione di enti pubblici a latere dello Stato (2). Rispondeva a finalità talora elusive, ma principalmente di migliore organizzazione (per esempio, nel reclutamento del personale) e talora, all’opposto, di più agevole ricorso alla cosiddetta lottizzazione. Si è sviluppato paradossalmente nel periodo fascista, quando maggiore fu l’affermazione (e la retorica) dello Stato, spesso pubblicizzando organismi privati già esistenti, per rispondere all’esigenza di creazione di burocrazie parallele. Venne frenato nel 1975, con la l. n. 20 marzo 1975, n. 70, detta sul parastato, che elencava gli enti confermati, dichiarava soppressi quelli non elencati, disciplinava istituzione e soppressione, rapporto di lavoro, controlli, vincoli finanziari, trasparenza.

3.Morfologia dello Stato ad organizzazione disaggregata. — Si è prima osservato che lo Stato ad amministrazione disaggregata è il regno della «adhocrazia». Un’analisi morfologica non può quindi aver pretese di completezza. Si tenta qui di fornire qualche indicazione dei tipi principali, delle funzioni, della genesi, dei rapporti con l’amministrazione centrale statale e locale.

Nello Stato ad amministrazione disaggregata si riscontra la presenza, oltre che di enti pubblici delle varie specie, di tutte le figure giuridiche soggettive proprie del diritto privato: associazioni, fondazioni, società (e suoi diversi tipi). La contaminazione con il diritto pubblico, e quindi con la legge, fa sì, però, che quasi mai i tipi si ritrovino allo stato puro. Mai come in questo caso è più acconcio il ricordo della antica espressione per la quale il diritto pubblico sarebbe diritto privato modificato. Quindi, ogni tipo presenta anche una varietà di varianti ulteriori. Questo ha creato un bisogno classificatorio, spingendo persino il legislatore a definire, con l’art. 1, co. 2, d.lg. 30 marzo 2001, n. 165, gli organismi inclusi nel perimetro della nozione di pubblica amministrazione.

Quel che si è ora detto per la tipologia può ripetersi per le funzioni. Le principali sono di due tipi: quello che comprende compiti strumentali all’apparato statale diretto e quello che include erogazione di servizi a beneficio diretto della collettività. Nel primo sono comprese attività in funzione dello Stato persona, al suo servizio; nel secondo attività in funzione dello Stato ordinamento o della collettività. Ma anche i compiti non si trovano sempre allo stato puro. Vi sono organismi puramente ausiliari, altri strumentali, altri satelliti, altri erogativi e indipendenti.

Quanto al terzo aspetto, quello genetico, alcuni sono il frutto di «slittamenti» successivi da forme precedenti: ad esempio, Cassa depositi e prestiti, Ferrovie dello Stato e Anas erano inizialmente parte, quali amministrazioni o aziende autonome, dell’organizzazione unitaria dello Stato ad amministrazione compatta. Quando quest’ultimo ha perduto tale caratteristica, questi organismi sono stati trasformati in enti pubblici e poi in società per azioni (o direttamente in società per azioni). Altri organismi di quest’organizzazione lenticolare sono il risultato di decisioni diverse: in taluni casi, costituiti dallo Stato con legge, in altri promossi dallo Stato, ma in forme privatistiche, in altri ancora, stimolati dallo Stato ma promossi da altri soggetti e con finanziamento statale.

Quanto ai rapporti con lo Stato, va anche qui segnalata una grande varietà di forme, ma con una costante: l’amministrazione statale diretta si svuota di compiti, «fa fare», invece di «fare». Per questo si può ancora parlare di amministrazione indiretta o impropria, riprendendo una terminologia antica. Inoltre, ciascuno degli apparati centrali tende a circondarsi di organismi satelliti, con funzioni serventi o con compiti di erogazione di servizi. E lo stesso può dirsi per le amministrazioni locali.

4.Le tensioni tra Stato ad organizzazione compatta e Stato ad organizzazione disaggregata. — La transizione dallo Stato ad amministrazione compatta allo Stato ad amministrazione disaggregata è all’origine di continue tensioni tra ciò che resta del primo (una sua parte cospicua) e ciò che nasce con il secondo.

Queste tensioni corrono lungo il filo dei controlli e si svolgono secondo una sequenza che si ripete. Costituito l’organismo esterno o promossa la sua istituzione, nella maggior parte dei casi, allo scopo di sfuggire alle regole stringenti proprie dell’amministrazione compatta (fuga dallo Stato), gli organismi di controllo si adoperano per sottoporre gli organismi a latere dello Stato all’applicazione di quelle regole alle quali si voleva inizialmente derogare. Di qui l’avvio di un circolo vizioso che conduce a equilibri incerti e poco chiari tra vecchie e nuove regole, vecchie e nuove elusioni seguite dall’applicazione di regole stringenti.

Il risultato frequente di questa tensione è rappresentato dall’adozione di regole parzialmente applicate ai due tipi di amministrazione: si pensi soltanto a quelle relative ai livelli retributivi delle figure apicali (sia dei ministeri, sia di organismi diversi e separati come le società cosiddette partecipate).

Al centro di questa tensione sono gli organismi chiamati al controllo finanziario o della corruzione e la tensione fa emergere normative di reazione, sul modello della l. n. 70/1975 sul parastato. Un esempio recente è il d.lg. 19 agosto 2016, n. 175, sulle società a partecipazione pubblica, che ha disciplinato unitariamente sia società — imprese, sia società — enti di erogazione o di servizio (cioè organismi che sono stati istituiti nella forma di società per azione senza averne la sostanza).

5.La pluralizzazione dello Stato. — Il fenomeno sul quale si è richiamata l’attenzione può esser definito con l’espressione «pluralismo amministrativo», anche se il riferimento al pluralismo è improprio: la parola è riferita solitamente ai rapporti sociali, non alla pluralizzazione delle amministrazioni, nel senso di frammentazione interna. La pluralità degli ordinamenti giuridici sulla quale hanno richiamato l’attenzione un secolo fa Maurice Hauriou e Santi Romano, era il riflesso giuridico di un fenomeno di pluralismo sociale, non un mutamento strutturale e interno dello Stato.

Qualunque ne sia la definizione o il termine con il quale lo si contraddistingue, comunque, esso produce una serie di conseguenze. La prima è una sorta di mercatizzazione dello Stato, nel senso di moltiplicare i centri di cura di interessi non collocati in strutture gerarchiche e non regolati secondo criteri uniformi, aprendo, entro certi limiti, la porta alla possibilità che i diversi centri entrino in concorrenza tra di loro.

La seconda è di aprire la strada a nuove forme di aggregazione, in qualche caso a livello sopranazionale. Centri di cura di interessi pubblici si sconnettono parzialmente dallo Stato, per connettersi a organismi sovranazionali: si pensi alle autorità per la sicurezza alimentare nell’area europea o alle autorità antitrust a livello globale, dove le aggregazioni o forme di cooperazione esterne vengono a colmare l’assenza di integrazione interna.

La terza è l’incentivo alla penetrazione dei giudici nei rapporti interni tra centri di cura di interessi pubblici: la disaggregazione apre la strada alla possibilità di un organismo di chiamarne in giudizio un altro (3). Istituzioni non collocate in un ordine gerarchico e in un’amministrazione compatta, sono legittimate ad agire in giudizio nei confronti di altre istituzioni quando si indeboliscono le capacità concertative (ad esempio con conferenze dei servizi). Il risultato è una giudizializzazione dell’azione amministrativa, un inserimento delle corti negli spazi propri dell’esecutivo, con conseguente de-amministrazione della funzione pubblica e perdita del proprio ruolo da parte del giudice amministrativo, che non è più arbitro del conflitto autorità (pubblica) — libertà (privata). Il percorso compiuto è così opposto a quello analizzato da Ronald Coase nel saggio del 1937 su The Nature of the Firm  (4), in quanto aumentano i costi di transazione.

6.Governare la molteplicità. — Le trasformazioni descritte comportano la disgregazione (parziale) dello Stato napoleonico, accentrato, uniforme, gerarchico, a struttura compatta.

Esse pongono problemi di non poco momento, principalmente quello di governare la molteplicità e quello di stabilire il punto di equilibrio tra ricorso agli standard privatistici e modelli pubblicistici, che normalmente conduce alla nascita di forme miste.

Queste trasformazioni richiedono interventi correttivi. Si tratta, in primo luogo, di ricostruire quella che potrebbe definirsi la mappa conoscitiva dello Stato. Alle tradizionali classificazioni (Stato, parastato, settore pubblico, settore pubblico allargato) occorre aggiungere una varietà di altri organismi che dipendono, o dal punto di vista della direzione e del controllo, o dal punto di vista finanziario, dalle strutture centrali o periferiche del potere pubblico. Questo è importante, ad esempio, per ricostruire quel vario universo che è costituito dai dipendenti pubblici (in forma privata o in forma pubblica).

In secondo luogo, è importante ricostruire le linee di comando e di controllo, lasciate per i singoli organismi a strutture di settore (ad esempio, singoli ministeri).

In terzo luogo, è rilevante ricostruire le proiezioni esterne, internazionali ed europee, dei componenti dello Stato ad amministrazione disaggregata, per ricondurre ad unità l’attività esterna dello Stato.

Sul finire del saggio su La fine del “laissez faire”, nel 1926, John Maynard Keynes si chiedeva quale fosse la forma di governo degli Stati «interventisti» e così rispondeva: «Credo che in molti casi la dimensione ideale per l’unità di controllo e di organizzazione è in un punto intermedio fra l’individuo e lo Stato moderno. Io opino perciò che il progresso sta nello sviluppo e nel riconoscimento di enti semi autonomi entro lo Stato — enti il cui criterio di azione entro il proprio campo sia unicamente il bene pubblico come essi lo concepiscono, e dalle cui deliberazioni siano esclusi motivi di vantaggio privato, benché possa ancora essere necessario, finché non diventi maggiore l’ambito dell’altruismo umano, lasciare un certo campo al vantaggio separato di particolari gruppi, classi o facoltà — enti che nel corso ordinario degli affari siano di massima autonomi entro le proprie prescritte limitazioni, ma siano soggetti in estrema istanza alla sovranità della democrazia quale è espressa attraverso il parlamento» (5).

 

(1) F. Ost e M. van de Kerchove, De la pyramide au reseau? Pour une théorie dialectique du droit, Bruxelles, Facultés universitaires Saint Louis, 2002.

(2) Il maggiore censimento fu quello compiuto dal Ciriec: Gli enti pubblici italiani. Anagrafe, legislazione e giurisprudenza dal 1861 al 1970, a cura di A. Mortara, Milano, Franco Angeli, 1972.

(3) Su questo fenomeno, Quando lo Stato fa causa allo Stato. La legittimazione attiva delle pubbliche amministrazioni, a cura di M. Macchia, Napoli, Editoriale scientifica, 2019.

(4) R. Coase, The Nature of the Firm, in Economica, 1937, 386 ss.

(5) J.M. Keynes, La fine del laissez faire e altri saggi, a cura di G. Lunghini, Torino, Bollati Boringhieri, 1991, 38.