Fascicolo n. 1 - 2021 gennaio / marzo

Simposi


La Costituzione “dimenticata”. Introduzione

Nell’articolo si ricostruiscono le ragioni storiche e istituzionali che hanno determinato la mancata o parziale attuazione di alcune disposizioni della Costituzione italiana. Anche se le cause sono state diverse, tale inattuazione ha avuto due effetti «unitari». Il primo è che essa ha prodotto una continuità tra l’Italia repubblicana e quella monarchica. Il secondo è che essa ha rafforzato lo Stato a scapito della società. Ci si interroga, infine, se alcune istituzioni, come la Corte costituzionale o il Presidente della Repubblica, avrebbero potuto sollecitare il legislatore ad attuare le norme costituzionali «dimenticate».

La parità di genere

Il contributo si propone di ricostruire la genesi e lo stato di attuazione del principio di parità di genere, espresso in primis nell’art. 3 Cost. Dall’analisi della discussione in Assemblea Costituente, emerge che su questo tema il dibattito è stato assai vivace. L’orientamento trasfuso nel testo approvato rispecchia una concezione del ruolo delle donne nella società più avanzata di quella ai tempi condivisa dall’opinione pubblica. Anche per questo, la sua attuazione concreta è stata lunga e complessa e non pare essere ancora giunta a compimento. Tuttavia, buone prassi e sperimentazioni virtuose attualmente non mancano e poggiano oggi su un substrato culturale finalmente maturo, che può indurre a guardare al prossimo futuro con cauto ottimismo.

Il dovere di lavorare per il progresso materiale o spirituale della società

Lo scritto si propone di verificare se e in che modo il dovere di concorrere con il proprio lavoro al progresso materiale o spirituale della società sancito dall’art. 4, comma 2 Cost. abbia trovato attuazione. Dall’analisi del dibattito in Costituente si ricava che la norma, dal profondo contenuto morale, è il frutto di un orientamento ampiamente condiviso. Cionondimeno, ragioni di carattere ideologico e di natura teorica portano per lo più a dimenticarla. La dimostrazione risiede in una serie di ipotesi che rimangono prive di un richiamo alla disposizione, ma che rivelano al tempo stesso l’attualità del valore racchiuso nel principio di cui all’art. 4, comma 2, Cost.

L’adeguamento dei principi e dei metodi della legislazione alle esigenze del decentramento

Il contributo si interroga sull’effettiva attuazione, secondo la volontà dei costituenti, del principio del decentramento ai sensi dell’art. 5 Cost., muovendo da una ricostruzione delle ragioni che ne hanno condotto all’introduzione all’interno della Carta costituzionale. In particolare, dopo avere indagato l’assetto ordinamentale tendenzialmente accentrato caratterizzante il periodo storico che va dall’unificazione alla caduta del fascismo, si esaminano i lavori della Commissione per la Costituzione e dell’Assemblea Costituente per comprendere la ratio della collocazione dell’art. 5 tra i principi fondamentali, per poi procedere con l’analisi della nozione di decentramento e delle sue diverse «forme», indispensabile per esaminare la portata dei principali interventi posti in essere per adeguare i principi e i metodi della legislazione alle esigenze del decentramento.

Il riconoscimento e la promozione delle autonomie locali

L’art. 5 della Costituzione preserva l’unità e l’indivisibilità della Repubblica, riconoscendo e promuovendo le autonomie locali nonché vincolando il legislatore ad adeguare i principi e i metodi della legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento. L’autonomia contemplata dalla Costituzione, pertanto, deve essere intesa come condizione di libertà e fonte di responsabilità, in quanto, se, da un lato, attraverso l’autodeterminazione autonomistica si consente all’ente di disporre dei fini da raggiungere ed alla popolazione di partecipare all’esercizio del potere, dall’altro, non v’è libertà individuale, che, in quanto riflesso di un dovere di solidarietà sociale, non implichi un’assunzione di responsabilità. Con la riforma del Titolo V parte seconda della Costituzione, la sussidiarietà conforma l’intero assetto costitutivo della Repubblica, determinando un processo di equiordinazione istituzionale, laddove i poteri locali e territoriali divengono parti costitutive della Repubblica, quindi, titolari di significativi poteri. Permangono, tuttavia, non poche criticità che rendono incompiuto il processo autonomistico, sussistendo la tendenza a privilegiare la logica della sovraordinazione alla misura della competenza, il criterio della prevalenza all’esigenza del bilanciamento, a fronte di un quadro ordinamentale ancora segnato da molteplici aporie ed ambiguità.

Il diritto di asilo

Il saggio si propone di indagare le ragioni della mancata attuazione dell’articolo 10, comma 3, Cost. muovendo dall’affermazione dell’autonomia concettuale del diritto di asilo costituzionale rispetto alle altre forme di protezione disposte a tutela dello straniero dalla normativa internazionale ed europea. In particolare, attraverso la ricostruzione del dibattito svoltosi in assemblea costituente, si giunge ad affermare che l’assenza di una legge che disciplini le condizioni per il riconoscimento del diritto di asilo costituzionale abbia alterato il progetto della Costituzione con riguardo al più ampio riconoscimento dei diritti di libertà alla persona indipendentemente dalla sua cittadinanza ed abbia condotto al consolidarsi di una prassi applicativa di origine giurisprudenziale non adeguatamente garantista.

La funzione rieducativa della pena

Il contributo si sofferma sulle sorti del finalismo rieducativo della pena, sancito in Costituzione, all’art. 27 comma 3. La questione è affrontata identificando, in primo luogo, la portata di tale precetto costituzionale, a partire dalla ricostruzione dei lavori della Costituente e dall’interpretazione giurisprudenziale che il principio rieducativo ha avuto negli anni. Su questa base, si propongono, inoltre, alcune riflessioni sull’ordinamento carcerario e sul sistema penitenziario italiano, ponendo speciale attenzione ai profili organizzativi e funzionali, spesso trascurati, dell’attuale modello custodiale.

Il diritto allo studio e il merito

Muovendo dai suoi ascendenti storico-culturali, il contributo analizza l’art. 34 Cost., soffermandosi sul concetto di «capaci e meritevoli» cui tale previsione fa riferimento. Di tale norma si indagano, in particolare, le ragioni della sua mancata o non completa attuazione e si cerca di fornirne un’interpretazione alla luce del principio di uguaglianza.

L’ordinamento interno a base democratica dei sindacati

La mancata attuazione della seconda parte dell’art. 39 Cost. è un argomento «classico» della riflessione giuslavoristica e della scienza giuridica e politica più in generale. L’articolo si sofferma sull’origine dell’art. 39 Cost., sulla sua non applicazione e soprattutto sulle modalità con cui le dinamiche delle organizzazioni sindacali si sono sviluppate a fronte del silenzio del legislatore. Sono così ricostruite le forme in cui si sono affermate, a fronte della mancata attuazione dell’art. 39 Cost., la libertà sindacale, la rappresentatività e i modelli di contrattazione collettiva. Il risultato della analisi compiuta mostra luci e ombre. Da un lato, è vero che la piena attuazione dell’art. 39 Cost. avrebbe potuto o ancora potrebbe migliorare l’intero sistema di relazioni sindacali. Dall’altro lato, l’autonomia collettiva ha mostrato flessibilità e capacità di adattamento anche in assenza delle disposizioni legislative previste dalla Costituzione, sviluppando altre modalità per assicurare comunque meccanismi a tutela dei lavoratori. In conclusione, l’articolo formula alcune riflessioni sul ruolo delle organizzazioni sindacali nell’era digitale, in un momento in cui lo Stato democratico e le sue istituzioni sono messi a dura prova dalla sfida tecnologica.

La riserva di attività economiche alle comunità di lavoratori o di utenti

Lo scritto ha inteso indagare lo stato di (in)attuazione dell’art. 43 Cost. nella parte in cui prevede la possibilità di riservare o trasferire per «fini di utilità generale» determinate imprese o categorie di imprese a «comunità di lavoratori o di utenti». L’analisi del dibattito nell’Assemblea costituente ha dimostrato che la disposizione trae le sue origini nelle istanze di socializzazione dei mezzi di produzione, di cui si discuteva in Europa già dall’inizio del XX secolo, ma che ebbero un ruolo marginale nella cultura politica ed economica italiana del secondo dopoguerra rispetto a modelli di collettivizzazione già noti, ovvero le statizzazioni, le nazionalizzazioni e i sistemi di partecipazioni statali. Oltre alle debolezze politico-ideologiche che hanno caratterizzato il percorso di elaborazione dell’art. 43 Cost., lo scritto analizza altre ragioni che hanno determinato la mancata attuazione della previsione contenuta nell’art. 43 Cost., tra le quali emerge il problema della complessiva incompatibilità dell’intero articolo con il diritto dell’Unione. Viene considerata, infine, la valorizzazione simbolica che la norma ha avuto più di recente nel contesto dei beni comuni per garantire una maggior accessibilità a beni e servizi ritenuti indispensabili per il godimento dei diritti fondamentali anche attraverso la promozione delle formazioni intermedie.

Dai consigli di gestione alla partecipazione al rischio delle imprese

Il contributo affronta il tema della collaborazione dei lavoratori alla gestione delle aziende a partire dalla genesi e dalla mancata attuazione dell’art. 46 della Costituzione, per comprendere come sarebbe cambiato il Paese se i tornanti della storia avessero preso direzioni differenti. Nella prima parte del lavoro, viene ripercorso il dibattito sui consigli di gestione a partire dagli anni Venti del secolo scorso, ponendo in luce i diversi tentativi di una loro istituzionalizzazione, fino ai due progetti D’Aragona e Morandi. Nella seconda parte, l’analisi si concentra sul dibattito relativo all’art. 46 in Assemblea costituente, per ripercorrere, poi, i tre momenti storici in cui è sembrata più vicina l’attuazione della disposizione, per approfondirne le cause e le conseguenze.

Il risparmio popolare e l’investimento azionario nei grandi complessi produttivi

Il secondo comma dell’art. 47 della Costituzione prevede che la Repubblica «[f]avorisce l’accesso del risparmio popolare al diretto e indiretto investimento azionario nei grandi complessi produttivi del Paese». La norma ha avuto scarsa applicazione in concreto. Il contributo ricostruisce i motivi, storici e ideologici, che hanno spinto a inserirla in Costituzione, i limiti della sua attuazione, da parte del legislatore e del giudice costituzionale, le ragioni della inattuazione, e i profili di una sua possibile attualità.

La nomina presidenziale dei funzionari statali

L’art. 87, comma 7, della Costituzione attribuisce al Presidente della Repubblica il potere di nominare, nei casi indicati dalla legge, i funzionari dello Stato. L’analisi muove da una rapida considerazione del ruolo del Presidente della Repubblica (rispetto al quale la norma si pone come condizionata prima che condizionante) per poi concentrarsi sulla gestazione della disposizione costituzionale, sul suo significato e sulla sua attuazione. L’articolo in oggetto ha ricevuto minore attenzione di quella riservata ad altre norme, nonostante esso comporti una serie di problemi interpretativi che riguardano il testo della disposizione, il quadro legislativo successivo e le prassi seguite dai diversi Presidenti. Le questioni aperte interessano, tra le altre, la natura del potere presidenziale di nomina, l’oggetto della valutazione, le conseguenze dell’esercizio (o del mancato esercizio) del potere, i limiti costituzionali alla disciplina legislativa dell’istituto. Sviluppando le indicate linee di riflessione, il lavoro verificherà se la disposizione abbia solo un carattere derivato e contestualizzato, o partecipi — insieme ad altre norme — alla definizione della figura del Presidente della Repubblica, contribuendo così alla riflessione sullo «stato» della Costituzione tra attuazione e inattuazione, tra attualità e inattualità.

Le responsabilità proprie dei funzionari

Obiettivo dello scritto è verificare lo stato di attuazione dell’art. 97, comma 3 Cost., nella parte in cui prevede l’imputazione in capo ai funzionari di «responsabilità proprie». L’analisi del dibattito nell’Assemblea costituente e delle posizioni a esso sottese dimostra che il testo approvato fu il frutto di un compromesso tra un approccio teso a ritagliare uno spazio di autonomia alla dirigenza e un approccio, al contrario, dominato dai timori di una deriva tecnocratica del sistema. Il risultato è una norma non priva di ambiguità, che ne hanno condizionato l’attuazione. Gli interventi legislativi volti a dare corpo a siffatta previsione costituzionale hanno infatti reiterato le contraddizioni di fondo, impedendo la realizzazione in concreto del principio delle «responsabilità proprie» dei funzionari.

Il principio del concorso pubblico

Il saggio analizza criticamente l’attuazione del principio del concorso pubblico, previsto dall’art. 97, comma 4, della Costituzione italiana. In particolare, dopo avere dato conto della progressiva emersione del principio nel periodo pre-costituzionale e durante i lavori dell’Assemblea costituente, si sofferma sulla giurisprudenza della Corte costituzionale che, negli anni, ha posto un argine ai frequenti tentativi del legislatore di superare o di eludere il principio del concorso e, in tal modo, ha definito attentamente i limiti e le condizioni di derogabilità dello stesso. Il lavoro si chiude con una riflessione sui limiti dell’attuale sistema dei concorsi, dove l’imparzialità e l’intento di evitare malcostume e favoritismi nelle assunzioni hanno preso il sopravvento sull’esigenza dell’amministrazione di reclutare i migliori, ossia sul principio del merito.

Rivista bibliografica

pp 407

Opere di Guido Melis (Sabino Cassese); Fernando Venturini (Guido Melis); Flavia Lattanzi (Maria Stella Bonomi); Barbara Guastaferro (Giacomo Delledonne); Bernardo Sordi (Guido Melis); Francesco Buffa e Maria Giuliana Civinini (Ludovica Sacchi); Diletta Tega (Pasquale Pasquino – Maria Rosaria Ferrarese); Richard A. Epstein (Bruno Carotti); Maria Stella Bonomi (Monica Delsignore); Giorgio Mocavini (Emiliano Frediani)

Note bibliografiche

pp 440

Note bibliografiche a cura di Bruno Paolo Amicarelli, Livia Baldinelli, Gianluca Buttarelli, Giorgio Mocavini, Andrea Renzi, Giuseppe Sciascia, Federico Spanicciati, Costanza Trappolini

Notizie

pp 407

Un incontro sulla storia delle istituzioni (Giorgio Mocavini) 451
Un ricordo di Luciano Vandelli e il convegno dell’associazione italo-spagnola dei professori di diritto amministrativo (Fernando López Ramón e Giuseppe Piperata) 452
Un convegno sui trent’anni della legge sul procedimento amministrativo (Gianluca Scaramuzzino) 455
Un seminario sullo sblocco delle opere pubbliche (Giulio Rivellini) 457
Un seminario su banche e «golden power» (Bruno Paolo Amicarelli) 459

Contents

pp 475