Il concorso pubblico tra eguaglianza di diritto e diseguaglianze di fatto

di Roberto Medda
Abstract

Il reclutamento dei dipendenti pubblici è tornato di recente al centro del dibattito: sia nel Regno Unito, ma soprattutto in Francia, è maturata l’idea che i meccanismi di selezione producano una sotto rappresentazione di alcune categorie di persone (donne, portatori di handicap, persone provenienti da ambienti sociali svantaggiati, ecc.) nell’accesso alle professioni
di maggior peso all’interno delle istituzioni pubbliche. In Italia, dove questo dibattito non si è aperto, diversi elementi portano a sospettare che il fenomeno sia egualmente presente, pur in assenza di rilevazioni statistiche. Questo saggio mira ad analizzare il sistema dei concorsi per l’accesso all’alta burocrazia alla luce di tale problema. Attraverso un’analisi comparata tra Italia e Francia, Paese dove l’esigenza di democratizzare l’élite amministrativa ha storicamente ispirato l’evoluzione della materia, si verificherà la compatibilità sia della disciplina normativa e sia della prassi amministrativa rispetto al principio di accesso agli impieghi pubblici in condizioni di
eguaglianza stabilito dall’art. 51 della Costituzione. La concezione soltanto formale del principio di eguaglianza, unita all’inefficienza delle procedure di selezione, fa sì che nell’ordinamento italiano l’accesso all’impiego pubblico, soprattutto nel caso delle carriere di maggior prestigio, non avvenga — nei fatti — in base a una competizione equa. Un problema di rilevanza anche giuridica, perché depotenzia la funzione democratica del concorso pubblico.