Le Ad Libraries sono davvero trasparenti?

Nel maggio del 2021 è stata presentata alla Camera del Congresso americano una proposta di legge che garantisce ai ricercatori e alla Federal Trade Commission un accesso più approfondito alle ad Libraries recentemente predisposte da colossi digitali come Facebook e Google.  Trattasi di librerie che contengono i dati sulle le ad, cioè le inserzioni, pubblicate sulle piattaforme digitali gestite dalle stesse imprese. Tuttavia, data l’insufficienza delle informazioni rese disponibili su tali librarie, la proposta di legge vorrebbe imporre la pubblicazione di maggiori dati anche al fine consentire lo svolgimento di attività di ricerca sulle più recenti tecniche di microtargeting.

 

Nel maggio dell’anno scorso i democratici Lori Trahan and Kathy Castor hanno presentato alla Camera dei rappresentati del Congresso americano la proposta di legge per l’adozione del Social Media DATA Act, definito anche come “Social Media Disclosure And Transparency of Advertisements Act of 2021”. Lo scopo della nuova legge è di garantire ai ricercatori ed alla Federal Trade Commission un accesso più approfondito alle Ad Libraries delle Big Tech, ovverosia le librerie digitali contenenti i dati sulle inserzioni presenti nelle piattaforme gestite dalle stesse (Delle Big Tech abbiamo già parlato qui, qui, qui, e qui).

Tali ad libraries sono state recentemente predisposte da Facebook e Google (consultabili rispettivamente qui e qui) per garantire maggiore trasparenza sulle pubblicità presenti nelle proprie piattaforme digitali, ivi comprese le inserzioni di carattere politico ed elettorale. Ad esempio, di ciascuna campagna pubblicitaria è possibile conoscere la data di lancio, il numero di amministratori responsabili per la stessa, eventuali modifiche apportate al nome del brand, etc. Le Ad Libraries si inseriscono così in una nuova e più ampia operazione di trasparenza e brandwashing, cui i colossi digitali stanno ricorrendo per rimediare alle critiche e alle controversie degli ultimi anni; si pensi, tra tutte, alla vicenda di Cambridge Analytica del 2018.

La semplice predisposizione delle nuove librerie non appare, tuttavia, sufficiente tenuto conto che le stesse non consentono di risalire alle modalità con cui sono predisposte le inserzioni e, soprattutto, a quali tipologie di consumatori sono destinate. In altri termini, i dati messi a disposizioni dalle Big Tech sono ancora considerati carenti nella misura in cui non consentono di esaminare le strategie di microtargeting,, ovverosia di elevata personalizzazione delle inserzioni pubblicitaria, e, dunque, di accertare i veri obiettivi degli inserzionisti.

Trattasi di carenze che hanno alimentato un vivace dibattito negli Stati Uniti, conducendo altresì ad alcune controversie tra le imprese ed i poli universitari interessati a studiare più approfonditamente le nuove dinamiche commerciali sul web.

Una particolare risonanza ha avuto la vicenda, da noi già approfondita qui, che ha visto contrapporsi l’università di New York e Facebook. L’università newyorkese, nell’ambito di una ricerca sulle pratiche di microtargeting e le pubblicità politiche, ha invitato gli utenti a installare un apposito tool, l’Ad Observer, al fine di raccogliere dati su come avviene la targhettizzazione dei consumatori a fini pubblicitari. Lo scorso anno, tuttavia, Facebook, lamentando che il tool consentirebbe un’indebita raccolta dei dati personali, anche di coloro che non hanno installato l’Ad Observer, ha reagito chiudendo gli account personali dei ricercatori dell’università .

La proposta di legge presentata al Congresso, imponendo alle Big Tech di mettere a disposizione un maggior numero di informazioni, interviene proprio sugli ostacoli oggi posti dalle Big Tech all’attività di ricerca.

Più precisamente, la sezione 2, punto 1, del proposto Social Media DATA Act,  impone di inserire nelle Ad Libraries i seguenti dati: a) il nome legale e il numero di identificazione di ciascun inserzionista; b) una copia digitale dell’inserzione; c) il metodo utilizzato per individuare i destinatari “targhettizzati” dell’inserzione; d) l’obiettivo di ottimizzazione prescelto dall’inserzionista (es. la portata dell’annuncio ovvero la reazione dei suoi destinatori); e) una descrizione del pubblico targhettizzato per ciascuna inserzione, incluse le sue informazioni demografiche (età, etnia, sesso, collocazione geografica, orientamenti sessuali o politici, etc.) e i suoi interessi; f) il numero di visualizzazioni e condivisioni dell’inserzione; g) la data e l’orario della prima ed ultima pubblicazione dell’inserzione; h) l’ammontare dei finanziamenti destinati per l’inserzione; i) la categoria dell’inserzione (ad esempio, di carattere politico o contenente annunci di lavoro); j) la lingua utilizzata e la policy pubblicitaria per ciascuna inserzione.

Ad ogni modo, un accesso indiscriminato ai dati dei destinatari delle inserzioni potrebbe effettivamente pregiudicare la loro privacy, tanto è vero che il disegno di legge limita ai soli ricercatori ed alla Federal Trade Commission l’accesso agli ulteriori dati richiesti dalla stessa proposta normativa.

L’iniziativa legislativa esaminata potrebbe garantire un adeguato supporto ad un’attività di ricerca che non solo promuove una maggiore consapevolezza delle tecniche di microtargeting, ma ne può altresì evidenziare le possibili distorsioni. D’altronde, negli anni precedenti più volte la stampa americana ha denunciato l’utilizzo su Facebook di inserzioni discriminatorie, ideate in modo tale da non essere visualizzate da minoranze etniche e religiose ovvero, viceversa, per raggiungere un pubblico volutamente antisemita.

Così descritto lo scenario americano, è possibile concludere con qualche breve cenno sul vecchio continente.

Una disposizione analoga al disegno di legge americano è contenuta nell’art. 31 del Digital Service Act proposto dalla Commissione Europea, che consente ai ricercatori abilitati di richiedere ai gestori delle principali piattaforme online l’accesso ai dati necessari per monitorare e valutare la corretta gestione delle stesse.

Recentemente, inoltre, la Commissione europea ha presentato una proposta di regolamento sulla trasparenza e il targeting della pubblicità politica che dovrebbe intervenire a complemento del regolamento già esistente sulla protezione dei dati personali, il noto GDPR, e del futuro Digital Service Act. La proposta di regolamento è apprezzabile sotto un duplice profilo, nonostante alcune critiche mosse in merito al suo ambito di applicazione, ritenuto eccessivamente circoscritto. Da un lato, si impone la pubblicazione di dati sulle modalità di targeting ed i tools di divulgazione adoperati, introducendo altresì divieti ed obblighi per gli operatori che si avvalgono di tali pratiche. Dall’altro, la proposta normativa prende in considerazione anche il ruolo di quegli attori estranei al circuito politico tradizionale, quali influencer e fondazioni.

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