La strategia russa contro le Big Tech

Recentemente le autorità russe hanno avviato diversi procedimenti legali nei confronti di alcune piattaforme digitali estere, accusate di aver ospitato contenuti ritenuti illegali e di essersi inoltre opposte all’archiviazione dei dati degli utenti all’interno di server locali. Tali iniziative si inseriscono in una più ampia e radicata strategia del governo russo volta ad acquisire un generalizzato controllo delle attività online degli utenti russi, da ultimo attraverso anche l’istituzione di una rete internet nazionale.

Nel luglio scorso il tribunale distrettuale di Mosca ha imposto a Google una sanzione pecuniaria per aver rifiutato di archiviare i dati dei propri utenti all’interno di server locali, come invece previsto dalla normativa russa in tema di protezione dei dati personali.

Il provvedimento ha preceduto di alcuni giorni la decisione dell’autorità federale russa in tema di telecomunicazioni (Roskomnadzor) di avviare un procedimento amministrativo sanzionatorio nei confronti di WhatsApp e Facebook per un analogo diniego riguardante la localizzazione dei dati degli utenti.

Entrambe le decisioni si inseriscono in una più ampia strategia posta in atto dal governo russo negli ultimi anni, volta ad acquisire un generalizzato e sistematico monitoraggio delle attività online degli utenti russi.

Nel recente periodo, infatti, le autorità russe hanno intensificato i propri sforzi avviando molteplici procedimenti legali nei confronti di società tecnologiche straniere, in particolare i social network, accusate di non aver rimosso alcuni contenuti online.

Secondo il Roskomnadzor, che svolge un servizio di supervisione globale della comunicazione online in Russia, diverse piattaforme avrebbero ospitato contenuti ritenuti illegali perché relativi, nella maggior parte dei casi, a materiale inadatto ai minori o incitante all’uso di droghe.

In altre occasioni, invece, è stato ritenuto che i messaggi condivisi online incoraggiassero i minori a prender parte alle proteste di piazza sorte a seguito dell’arresto di oppositori politici del governo russo.

Già in passato la mancata eliminazione di post considerati illegali aveva legittimato il Roskomnadzor ad imporre un parziale rallentamento delle attività della piattaforma Twitter su tutto il territorio nazionale. In quella fattispecie, l’autorità russa aveva poi espressamente minacciato il blocco definitivo dell’operatività della piattaforma nel caso di una reiterata violazione della legislazione russa.

A questo riguardo, il recente attivismo delle autorità russe restituisce quello che appare essere il reale interesse governativo in queste vicende, al di là delle preoccupazioni relative al ripristino della legalità violata.

Non è un mistero, infatti, che le pressioni governative sulle cd. Big Tech (si veda da ultimo l’introduzione dell’obbligo di istituire un ufficio o una sede legale nel territorio russo) siano dettate dalla volontà di assumere un controllo quanto più esteso e penetrante delle comunicazioni in rete dei cittadini russi.

La libera interazione degli utenti su piattaforme online globalmente interconnesse, sottoposte a regole di moderazione dei contenuti di natura privata, può rappresentare difatti una diretta minaccia per quegli ordinamenti autoritari, come quello russo, in cui la libera manifestazione del pensiero, soprattutto politico, è ostacolata da una normativa nazionale repressiva.

Pochi giorni prima delle elezioni per il rinnovo della Duma, infatti, anche Apple e Google sono state costrette a rimuovere dai propri store un’app ideata e sostenuta da alcuni attivisti politici di minoranza nel Paese.

L’applicazione aveva lo scopo di fornire agli elettori delle raccomandazioni dettagliate sulle preferenze di voto, al fine di contrastare la vittoria del partito di larga maggioranza (Russia Unita) che sostiene l’attuale Presidente della Federazione Russa.

Nonostante i timidi tentativi di reazione critica agli obblighi imposti dalla normativa russa, le grandi piattaforme digitali hanno sinora assunto un generale atteggiamento accondiscendente (come avvenuto, già dagli “anni zero”, con la Cina), nella consapevolezza che la loro resistenza economica e commerciale in tali confini territoriali vive di delicati equilibri, ed è in qualche modo subordinata ad una politica di tacita accettazione degli obiettivi governativi.

Come già avvenuto in altre esperienze di ordinamenti giuridici autoritari, le piattaforme digitali finiscono così con il subire il ruolo di strumenti privilegiati, ancorché indiretti, delle attività di controllo, monitoraggio e di repressione attuate dai regimi governativi.

Se la Russia, a differenza di altre nazioni, può cullare il ‘sogno’ prossimo di una rete internet chiusa ai confini nazionali e disconnessa dall’intero mondo circostante, nei restanti ordinamenti autoritari molte delle residue opportunità per le minoranze politiche di poter esprimere liberamente la propria autodeterminazione continuano a riposare nella sopravvivenza di piattaforme digitali globali, seppur con le evidenti contraddizioni e criticità che il loro funzionamento comporta per la libertà di pensiero.

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