Il caso “Ad Observer”: societas explorare Facebook non potest

Con un comunicato del 3 agosto, Facebook ha disabilitato gli account di un gruppo di ricercatori della New York University (NYU), impegnati nello studio del microtargeting comportamentale e delle tecniche di political advertising. Il caso offre nuove occasioni per ulteriori riflessioni sul fenomeno del “platform capitalism”, nonché sul difficile rapporto con la protezione dati e la sicurezza dei nuovi strumenti di comunicazione.

Con un comunicato del 3 agosto, Facebook ha disabilitato gli account di un gruppo di ricercatori della New York University (NYU), impegnati nello studio del microtargeting comportamentale e delle tecniche di political advertising, anche per individuare eventuali fake news (a tal riguardo si veda anche C. Ramotti, Facebook oscura le pagine di Casa Pound e Forza Nuova e M. Mazzarella, Facebook e Twitter contro le fake news).

Come è stato ampiamente osservato nel caso Cambridge Analytica, il microtargeting consente di identificare gli interessi dell’utente online attraverso l’analisi dei propri dati personali (si pensi, ad esempio, ai dati di navigazione, ovvero alle ricerche online effettuate dall’utente) con lo scopo di influenzare le sue azioni. Gli strumenti avanzati di analisi di cui dispone Facebook, nonché il deficit di trasparenza nella governance nella scelta e collocazione degli advertisements, costituiscono alcuni dei presupposti critici che hanno indotto i ricercatori della NYU a studiarne i meccanismi di funzionamento.

Per tali ragioni, i ricercatori hanno raccolto dati creando un’apposita estensione del browser, denominata Ad Observer.

Ad Observer si presenta come un tool che può essere aggiunto ai principali browser (sono disponibili, in particolare, le versioni per Chrome e Mozilla Foundation).

L’estensione copia gli annunci che l’utente visualizza su Facebook e YouTube, in modo che chiunque possa vederli nel database pubblico realizzato dal gruppo di ricerca.

Più precisamente, Ad Observer dichiara di acquisire:

  • Il nome dell’inserzionista e la stringa di divulgazione.
  • Il testo, l’immagine e il link dell’annuncio.
  • Le informazioni fornite da Facebook su come l’annuncio è stato indirizzato.
  • Quando è stato mostrato l’annuncio.
  • La lingua del browser.

Inoltre, gli utenti possono fornire ulteriori dati demografici, per coadiuvare la ricerca sul meccanismo di attribuzione delle inserzioni.

Ciononostante, Facebook ha ritenuto che tale estensione fosse stata programmata per eludere i sistemi di rilevamento e procedere ad attività di web scraping non consentite, così da carpire precisi dati personali, come (i) nomi utente, (ii) annunci pubblicitari, (iii) collegamenti a profili utente e altre informazioni, alcune delle quali non sono visibili pubblicamente su Facebook. Inoltre, l’estensione avrebbe anche raccolto dati sugli utenti di Facebook che non l’hanno installata, o non hanno acconsentito alla raccolta.

L’estensione violerebbe così tanto i Termini e Condizioni d’uso della piattaforma social, quanto la protezione dati degli utenti. Tale pratica, infine, esporrebbe la piattaforma al pagamento di una penale di 5 miliardi di dollari, parte di un accordo sottoscritto con la Federal Trade Commission (in seguito, “FTC”) a luglio 2019, in seguito alle accuse di violazione della protezione dei dati personali.

Sulla scorta di tali ragioni giustificatrici, il social network ha disabilitato tutti gli account, le app e le pagine associati all’Ad Observatory Project della NYU e ai suoi operatori; nondimeno, ha inibito l’accesso dell’estensione Ad Observer alla piattaforma.

Tuttavia, tale scelta non è risultata esente da critiche ed osservazioni. Mozilla Foundation ha raccomandato l’installazione dell’estensione, all’esito di un’attenta analisi del codice. Sul punto, infatti, Mozilla Foundation sottolinea che il codice è open source (disponibile su GitHub), pertanto tutti possono verificare i meccanismi di funzionamento dell’estensione.

Il Direttore del Bureau of Consumer Protection (BCP) della FTC Samuel Levine, invece, ha inviato un Comunicato alla piattaforma, ritenendo che la condotta del social network difettasse dei requisiti di diligenza e trasparenza, rilevando altresì che l’accordo sottoscritto non impedisce deroghe per finalità di ricerca ed interesse generale.

 I ricercatori del gruppo NYU Laura Edelson e Damon McCoy, al contempo, hanno annunciato i risultati e le evidenze ottenuti attraverso l’impiego di Ad Observer.

In particolare, Facebook non è riuscito a includere:

  • Annunci a sostegno di Joe Biden prima delle elezioni del 2020;
  • Annunci Amazon sul salario minimo;
  • Un annuncio anti-mask, rivolto ai conservatori gestito da un gruppo chiamato Reopen USA, la cui pagina Facebook pubblica meme anti-vaccino e anti-mascherina.

Peraltro, essi hanno affermato di aver messo a disposizione di altri ricercatori e giornalisti, nel corso degli ultimi tre anni, le informazioni raccolte tramite Ad Observer e gli altri strumenti di Facebook, così da favorire la ricerca.

In conclusione, il caso Ad Observer offre nuove occasioni per condurre ulteriori riflessioni sul fenomeno del “platform capitalism”, nonché sul difficile rapporto con la protezione dati e la sicurezza dei nuovi strumenti di comunicazione. Al contempo, rinvigorisce il dibattito sulla necessità di addivenire ad una più compiuta opera di regolazione (a tal riguardo, si veda S. Cassese, Facebook è uno Stato, ci vogliono delle regole).

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