“Pathfinder” o “boy scout”? La Commissione Europea sul (ripido) sentiero del digitale

Digitalizzazione delle infrastrutture, delle imprese, dei servizi pubblici e delle competenze. Questi gli obiettivi principali del c.d. “Path to the digital decade” (o Digital Path), di cui al programma strategico COM(2021) 574 final, che mira a realizzare entro il 2030 la completa transizione digitale socio-economica dell’Unione Europea. Quale quadro di governance digitale, il Digital Path non costituisce solo una mera tabella di marcia ma mira all’implementazione concreta degli investimenti per gli obiettivi digitali UE oltre che all’accelerazione verso la realizzazione del c.d. “digital decade”. Ma la corsa – faticosa – verso la “sovranità digitale” è sul sentiero giusto? 

 

Con il c.d. “Path to digital decade” [COM(2021) 574 final], la Commissione europea muove un ulteriore passo in avanti sul percorso verso il “decennio digitale”, predisponendo un programma (rectius una proposta di decisione, idonea a produrre effetti diretti e immediati sui soggetti ai quali è rivolta) particolarmente strutturato e vivace per realizzare la trasformazione digitale della società e dell’economia dell’UE entro il 2030. Scopo del Digital Path, in estrema sintesi, è istituire un quadro di governance congiunto basato su un meccanismo di monitoraggio e cooperazione annuale con gli Stati membri, volto a conseguire gli obiettivi del digital decade nei settori delle competenze digitali, delle infrastrutture digitali (E. Schneider, Il ruolo primario delle infrastrutture digitali per la ripresa economica del paese: a che punto siamo?) e della digitalizzazione delle imprese e dei servizi pubblici (si veda anche G. Sgueo, Governare la trasformazione digitale).

Il programma prende le mosse da una considerazione di fondo: la pandemia Covid-19 ha posto in evidenza il ruolo centrale della tecnologia digitale per la costruzione di un futuro sostenibile e prospero (si veda anche G. Sgueo, Pandemia e Parlamenti digitali). In particolare, la crisi pandemica ha evidenziato un importante divario tra le imprese digitalmente mature e quelle che devono ancora adottare soluzioni in tal senso, evidenziando altresì le profonde differenze tra le zone urbane “digitalizzate” e le zone rurali/remote (i.e. “not linked”; sul punto, N. Posteraro, Accessibilità urbana, disabilità e smart cities). Ebbene, al fine di accelerare la transizione verso la sovranità digitale – si badi, sovranità che conferisca ai cittadini e alle imprese quell’autonomia e responsabilità necessarie per conseguire un futuro digitale comunque antropocentrico, inclusivo, sicuro e aperto –, il Digital Path integra e attua la visione, le azioni e gli obiettivi già delineati nella comunicazione istitutiva della “Bussola per il digitale” (della quale costituisce naturale declinazione; si veda A. Palladino, Europa digitale 2030, la Commissione propone una “Bussola” per la sovranità digitale), con l’obiettivo di stabilizzarne la portata anche attraverso il consolidamento della strategia “Plasmare il futuro digitale dell’Europa” del 2019 (sulle strategie UE nel digitale, si veda anche Aiuti di Stato per la ripresa post Covid-19: l’UE punta sul digitale?  nonché G. Sgueo, Decidere il futuro dell’Europa, online).

Sul piano giuridico, per quando qui di interesse, il Digital Path trova poi la sua formale investitura:

(a) innanzitutto, nell’articolo 173, paragrafo 3, del trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), laddove si stabilisce che il Parlamento europeo e il Consiglio possono decidere misure specifiche destinate a sostenere le azioni svolte negli Stati membri affinché siano assicurate le condizioni necessarie alla “competitività dell’industria” dell’UE (di conseguenza, la sua trasformazione digitale, accrescendo le capacità industriali, agevolando lo sviluppo di start up e PMI, promuovendo nuovi investimenti nell’innovazione e sviluppo);

(b) nel principio di sussidiarietà (per la competenza non esclusiva), dal momento che l’iniziativa rientra in un settore di competenza concorrente e che la trasformazione digitale riguarda tutti i settori, richiedendo l’apporto congiunto di una varietà di portatori di interessi, nonché il coinvolgimento degli Stati membri, anche a livello transfrontaliero. Il che, di fatto, impone non solo una risposta rapida e coordinata a livello comunitario ma anche l’adesione a principi e obiettivi comuni;

(c) nella “proporzionalità”, nel senso che la proposta Digital Path si basa su iniziative politiche e quadri giuridici esistenti ed è proporzionata, per l’appunto, al raggiungimento dei propri obiettivi e traguardi, istituendo un nuovo meccanismo di cooperazione (G. Sgueo, Il ‘Minilateralismo digitale’ – Sistemi di governo reticolari e tecnologie emergenti) strutturata e trasparente tra gli Stati membri e la Commissione (anche attraverso l’utilizzo di specifiche raccomandazioni – non vincolanti – della Commissione agli Stati membri circa politiche, misure e azioni da adottare a livello nazionale e a livello di Unione, in particolare agli Stati membri in cui i progressi compiuti verso le finalità e gli obiettivi prefissati sono insufficienti o in cui sono state individuate lacune in base alla relazione sullo stato del decennio digitale e al successivo processo di cooperazione).

E però, nonostante il quadro sopra descritto, sia consentita altresì una lettura meno stupefatta (forse disincantata?) del cammino “digitale” sopra tratteggiato.

Innanzitutto, una doverosa premessa linguistica: la pianificazione europea, come noto, vive di specifiche priorità, figlie di lunghi, e spesso travagliati, dibattiti. Priorità che vengono di volta in volta compendiate dagli euro progettisti in singole parole o semplici frasi spot (in ordine sparso, l’uso dei vocaboli “innovativi”, “smart”, “green”, “inclusivi”, “digitalizzazione” ecc.). Dette espressioni/semplificazioni di concetti articolati – dette anche “buzzwords”, termine anglosassone che evoca suggestivamente, da un lato, un suono fastidioso, un ronzio e, dall’altro, un certo dinamismo e fermento (si vedano gli accostamenti di buzz a business) – sono generalmente indicative di una effettiva effervescenza giuridica ed economica intorno a una materia avvertita (e affrontata) come prioritaria.

Orbene, con riferimento al tema “digitalizzazione”, come evidenziato dal Prof. A. Ross, ogni Paese e ogni azienda – che commercializzi software o verdure – deve scegliere, oggi, se “digitalizzarsi o morire”. La digitalizzazione, ovviamente, non vuol dire mettere “più telefonini nelle tasche” dei cittadini ma implica, tra gli altri, l’introduzione di codici informatici in settori economici “storicamente non associati al digitale” come, a titolo meramente esemplificativo, l’agricoltura, il settore alimentare, i trasporti, la moda, l’industria manifatturiera.

Da tale angolo visuale, dunque, la massima “Path to the digital decade” altro non è che una buzzword, priva prima facie della ricchezza dei significati – e delle difficoltà – che la connotano, ma che, tuttavia, ben rappresenta la vivacità europea sull’argomento. Ed infatti, al fine di rendere operativa la citata “Bussola digitale”, il Digital Path UE in esame rappresenta, certamente, uno degli strumenti necessari fondamentali per attuare la strategia del “decennio digitale” (auspicato dalla Commissione) nonché per addivenire alla formulazione definitiva degli altrettanto imprescindibili “principi digitali” (in sintesi, questi ultimi dovrebbero garantire il conseguimento di risultati sociali di ordine superiore, come la transizione green, l’incremento della partecipazione dei cittadini, la lotta alle disuguaglianze, ecc.). Da qui, alcune, brevi considerazioni critiche:

(i) innanzitutto, checché la stessa Commissione evidenzi come “il contributo agli obiettivi sociali dovrebbe essere prioritario” soprattutto con riferimento alla “valutazione degli impatti ambientali della digitalizzazione nella trasformazione digitale, al fine di ridurli e allo stesso tempo rendere dette tecnologie di supporto alla transizione verde”, nulla viene concretamente previsto nel documento della Commissione sotto tale prospettiva, confermando quindi un approccio tendente al raggiungimento di obiettivi di crescita digitale meramente “quantitativi”, bastati cioè sui quattro punti cardinali della Bussola digitale;

(ii) proprio con riferimento ai “principi digitali”, la Commissione specifica come detti principi, unitamente al proposto Digital Path, dovrebbero operare in stretta connessione per assicurare la realizzazione del “decennio digitale”. Tale considerazione, tuttavia, implica – quale necessaria conseguenza – che fino a quando i “principi digitali” non saranno effettivamente delineati e isolati, nulla potrà dirsi circa l’effettiva idoneità e attitudine del Digital Path alla concreta realizzazione del “digital decade” sopra menzionato;

(iii) in ogni caso, ai fini del monitoraggio e della realizzazione del Digital Path, il sistema delle “raccomandazioni” della Commissione – che lo Stato membro “tiene nella massima considerazione”, adeguando di conseguenza la propria tabella di marcia strategica nazionale per il decennio digitale – non sembrerebbe adeguatamente incisivo al fine del necessario coordinamento e omogeneizzazione delle strategie degli Stati membri. Basti pensare che la stessa proposta fa salva comunque la possibilità per lo Stato membro di discostarsi (seppur motivatamente) dalla raccomandazione, financo a “disinteressarsi” completamente della medesima (in tal caso, la Commissione può “avviare un dialogo mirato con tale Stato membro e informarne il Parlamento europeo e il Consiglio”).

Non resta, dunque, che attendere le prossime indicazioni del pathfinder UE, auspicando in un sentiero agevole e attrezzato, alpino, ma adatto a tutti i digital human needs.

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