Pandemia e Parlamenti digitali

La pandemia in corso ha accelerato il processo di digitalizzazione dello Stato, in particolare per ciò che riguarda il funzionamento delle assemblee elettive, mostrando con prepotenza problemi noti, e ad oggi privi di soluzione: i sistemi informatici in uso per lo svolgimento delle attività legislative sono sicuri? Le decisioni prese attraverso strumenti digitali sono sufficientemente trasparenti? I Parlamenti digitali sono attenti a tutti gli interessi?

Ne abbiamo parlato recentemente (Qui): entro fine anno sono previste circa 70 tornate elettorali nazionali e sub-nazionali in tutto il mondo. Nell’impossibilità di gestire in sicurezza il flusso degli elettori ai seggi, alcuni Paesi hanno scelto di posticipare lo svolgimento delle elezioni; altri, invece, hanno optato per soluzioni alternative, rispetto del distanziamento sociale: il voto postale o quello online, ad esempio. Si tratta, in entrambe le ipotesi, e per la maggior parte dei casi, di soluzioni poco soddisfacenti. In Bolivia, la decisione di posticipare le elezioni presidenziali consente al discusso Presidente uscente, Evo Morales, di rimanere in carica. Negli Stati Uniti, la decisione di 18 Stati di cancellare o ritardare le primarie per le elezioni presidenziali gioca a favore del Presidente in carica. In Polonia, la scelta del voto postale per eleggere il nuovo Presidente è oggetto di critiche feroci per i rischi che comporta sulla trasparenza dello spoglio delle schede elettorali.

Sono problemi che alimentano una discussione vivace sul futuro prossimo delle democrazie elettive. Guardiamo al presente: cosa accade nei Paesi in cui le assemblee legislative sono in carica? Come reagiscono le infrastrutture pubbliche all’emergenza sanitaria e all’obbligo di distanziamento sociale? Tra gli effetti più evidenti della pandemia in corso c’è l’accelerazione del processo di digitalizzazione dello Stato, in particolare per ciò che riguarda il funzionamento delle assemblee elettive, mostrando con prepotenza problemi noti, e ad oggi privi di soluzione: i sistemi informatici in uso per lo svolgimento delle attività legislative sono sicuri? Le decisioni prese attraverso strumenti digitali sono sufficientemente trasparenti? I Parlamenti digitali sono inclusivi di tutti gli interessi?

Uno sguardo rapido alle scelte prese dalle assemblee legislative di tutto il mondo mostra la portata di questi problemi. Il Parlamento europeo a Marzo sceglie di riunirsi in una seduta plenaria virtuale, con voto a distanza. Per garantire la sicurezza delle votazioni opta però per un sistema “ibrido”, con effetti paradossali. Gli eurodeputati, cui è stata inviata la documentazione relativa alle votazioni in formato elettronico, hanno dovuto stamparla, compilarla e firmarla e, dopo aver scansionato i fogli, inviarla elettronicamente.

La possibilità di esprimere da remoto il voto in Assemblea deve misurarsi, oltre che con questioni di sicurezza, anche con i regolamenti parlamentari e le Carte costituzionali. Ne fa un’ottima sintesi una pubblicazione recente del centro studi del Parlamento europeo. Se, quindi, il Parlamento spagnolo ha consentito il voto online, il Parlamento inglese e quello scozzese hanno scelto di passare al digitale solo per ciò che riguarda parte dell’attività legislativa, in particolare quella relativa al question time con i rappresentanti di governo. Così anche in Nuova Zelanda, che rende virtuali i lavori delle commissioni parlamentati. Sono scelte interessanti, che tuttavia non risolvono il problema della sicurezza delle piattaforme digitali. Sappiamo, ad esempio, che Zoom si è rivelata debole agli attacchi informatici e alla tutela della riservatezza delle conversazioni.

Altrove ragioni giuridiche impediscono lo svolgimento delle votazioni online – è il caso dell’Assemblée nationale francese, che infatti sceglie di limitare al minimo le occasioni di incontro – oppure sono ragioni politiche che si oppongono al trasferimento dell’attività parlamentare da remoto – è, tra gli altri, il caso italiano.

Abbiamo detto di Zoom. In questa fase, tuttavia, non sono solamente i software di video conferencing ad attirare attenzione e critiche, ma più in generale tutte le piattaforme digitali pensate per agevolare lo svolgimento dei sistemi decisionali. Tra queste – ad esempio – Your priorities e Consul, entrambe piattaforme pensate per aggregare interessi diffusi e agevolare così l’interazione con le pubbliche amministrazioni. È un tema delicato, per almeno due motivi. Il primo riguarda la trasparenza e l’inclusione. Queste piattaforme private non necessariamente offrono le stesse garanzie delle strutture pubbliche, per cui il loro utilizzo da parte delle assemblee legislative dovrebbe tener conto degli standard di sicurezza e trasparenza che si applicano all’attività parlamentare.C’è poi un problema di scalabilità. La trasposizione a livello nazione di sistemi di consultazione digitale che finora sono stati sperimentati prevalentemente a livello locale è un’operazione complessa e costosa.

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