Il costo burocratico per l’energia. Alcune proposte per superare l’impasse amministrativa

Il tema della semplificazione burocratica è oggi al centro del dibattito pubblico e si sta imponendo anche sull’agenda politica. La situazione di stallo amministrativo si manifesta in misura particolarmente intensa nell’ambito del settore energetico e, più precisamente, in relazione agli investimenti volti alla realizzazione di opere infrastrutturali per lo sviluppo di reti ed impianti, che assicurano il trasporto, lo stoccaggio, la produzione, la distribuzione e la fornitura di energia. In questo ambito, infatti, l’interazione che si instaura tra amministrazioni pubbliche, imprese e cittadini, connessa alla localizzazione ed alla conseguente esecuzione delle opere, conduce in molti casi a fenomeni di accentuata conflittualità, da cui discendono ritardi e situazioni di impasse, che alle volte si prolungano anche per anni.

Le ragioni riguardano la scarsa chiarezza del quadro normativo di riferimento, l’imperfetto uso degli strumenti amministrativi a disposizione, la compresenza di un numero elevato di amministrazioni pubbliche contitolari di competenze, l’insussistenza di meccanismi che impongano di assumere una decisione entro un tempo definito. Ne consegue la diluizione della responsabilità degli organi decisionali, che in alcuni casi pongono veti o condizioni anche senza tenere conto degli esiti dell’istruttoria svolta dagli uffici amministrativi, così innescando fenomeni di procrastinazione, riassunti nell’espressione “Nimto” (Not in My Terms of Office).

Oltre a ciò ricorrono fattori esogeni, quali la presenza di gruppi di interesse e l’opposizione preconcetta a progetti vagliati nelle sedi amministrative, che non trovano quasi mai adeguata composizione con le esigenze imprenditoriali nella sede procedimentale, e che sfociano sovente in contenziosi giurisdizionali, che prolungano ulteriormente i tempi di definizione delle vicende amministrative.

Le disfunzioni amministrative che rallentano o impediscono la realizzazione di infrastrutture rilevanti per la collettività sono di carattere generale, trasversale all’intero campo di azione delle pubbliche amministrazioni e più settoriale, relativo alla materia delle opere pubbliche, specie nel settore energetico. Ne discende la necessità di prospettare, per sciogliere i nodi della burocrazia, soluzioni differenziate, unendo a delle riforme permanenti, sul piano della semplificazione legislativa ed amministrativa e dell’assunzione di personale tecnico qualificato nelle amministrazioni, alcuni interventi mirati, in tema, tra l’altro, di procedimento amministrativo, tutela giurisdizionale e rapporti tra imprese, amministrazioni pubbliche e cittadini.

Le proposte che seguono danno una risposta ai profili critici che caratterizzano la realizzazione di infrastrutture nel settore energetico (1).

  1. Assicurare che le amministrazioni pubbliche agiscano in via contestuale, e non in sequenza.
  2. Assegnare il giusto posto alla scienza nel procedimento amministrativo.
  3. Negoziare delle adeguate compensazioni ambientali, ma entro un termine certo.
  4. Assicurare tempi certi alla Valutazione di Impatto Ambientale e prevedere poteri sostitutivi. in caso di inerzia.
  5. Introdurre l’adozione di Regolamenti interni degli enti aggiudicatori per i settori speciali.
  6. Garantire un’adeguata tutela giurisdizionale, senza snaturare il ruolo del processo.
  7. Costruire un clima di fiducia tra amministrazioni, imprese e cittadini.

 

  1. Assicurare che le amministrazioni pubbliche agiscano in parallelo ed in via contestuale, e non in sequenza.

Al fine di rendere più celeri ed efficienti i procedimenti connessi alla realizzazione di infrastrutture energetiche, occorre ridurre la frammentazione delle competenze amministrative e concentrarne l’attività in tempi più stretti e soprattutto certi. In questa prospettiva, si propone un radicale mutamento di prospettiva dell’azione amministrativa, da realizzare attraverso una modifica della legge del procedimento amministrativo, introducendo in via generale il principio della contestualità e sincronia dell’azione amministrativa, che deve svolgersi in parallelo. Ad oggi, infatti, nonostante le previsioni in tema di conferenza di servizi, l’attività amministrativa si svolge prevalentemente “in sequenza”, con le amministrazioni pubbliche che attendono reciprocamente lo svolgimento delle valutazioni tecnico-discrezionali di rispettiva competenza, generando un inammissibile effetto surplace. Si dovrebbe assicurare, allora, soprattutto quando per l’attuazione di un progetto infrastrutturale occorrano differenti atti di assenso da richiedere a enti distinti – i casi più rilevanti sono quelli del provvedimento unico in materia ambientale e dell’autorizzazione unica relativa ai profili ablatorî ed urbanistici delle infrastrutture lineari energetiche – che i relativi procedimenti amministrativi si svolgano contestualmente ed in parallelo.

Si tratta, in particolare, di concentrare le tempistiche e di coordinare ancora meglio le competenze delle varie amministrazioni pubbliche coinvolte. In questa prospettiva, oltre a intervenire sulla legge sul procedimento, con particolare riferimento alle procedure che interessano maggiormente le infrastrutture energetiche, si dovrebbe stabilire un migliore coordinamento tra la Valutazione di Impatto Ambientale, la verifica di assoggettabilità a VIA, l’autorizzazione unica ambientale ed i connessi procedimenti espropriativi. Si potrebbe conseguire, in questo modo, il duplice obiettivo di innalzare i livelli di tutela ambientale e di sbloccare il potenziale derivante dagli investimenti in opere, infrastrutture e impianti per rilanciare la crescita sostenibile. 

  1. Assegnare il giusto posto alla scienza nel procedimento amministrativo.

La rilevanza della scienza all’interno dei procedimenti amministrativi, volti alla costruzione di opere pubbliche, specie se destinate ad avere impatto sull’ambiente, è un tema particolarmente importante. Da una parte, infatti, la realizzazione di grandi infrastrutture energetiche impone di sposare un approccio adeguatamente precauzionale, rispettoso del territorio e delle comunità locali; dall’altra bisogna però evitare il rischio che un eccessivo, ed a volte strumentale, approfondimento di specifici aspetti scientifici conduca a quella che si definisce una «paralisi per analisi», bloccando l’iter decisionale.

A tale fine si potrebbe dunque aggiungere, nel Codice dell’ambiente, la previsione che gli accertamenti e le valutazioni tecniche, compiuti in sede istruttoria per la Valutazione di Impatto Ambientale, non possano essere nuovamente realizzati una volta conclusi, sicché le relative risultanze dovrebbero essere utilizzate anche per la fase istruttoria del procedimento autorizzatorio. La sede ideale per questa previsione è l’articolo 26 del Codice dell’ambiente, che disciplina l’integrazione del provvedimento di Valutazione di Impatto Ambientale negli atti autorizzatori e ben si presterebbe, pertanto, a questa specificazione relativa alle modalità di svolgimento dell’istruttoria.

Nella medesima ottica, proprio al fine di evitare il ricorso strumentale ai pareri degli esperti, si potrebbero disporre – sempre nel Codice dell’ambiente – termini perentori per il compimento di eventuali studi e valutazioni tecniche ulteriori, rispetto a quelli espressamente previsti ai sensi di legge, o per il recepimento di pareri da parte di enti esterni. Il ricorso a queste forme di approfondimento istruttorio, infatti, non può tradursi in un artificio per rinviare l’emanazione di un provvedimento amministrativo di natura autorizzatoria, entro i termini stabiliti per legge. Se i pareri richiesti ad enti tecnici non vengono emanati tempestivamente, allora, alla pubblica amministrazione procedente deve essere imposto di concludere in ogni caso la fase istruttoria prescindendo da questi approfondimenti istruttori supplementari, di modo che l’inerzia dei corpi tecnici non si riversi sui soggetti proponenti. In questo caso la sede opportuna sarebbe l’art. 27, co. 8, Codice dell’Ambiente, che regola lo svolgimento del procedimento finalizzato all’ottenimento del provvedimento unico in materia ambientale.

Entrambe le modifiche scongiurerebbero il pericolo di vedere utilizzate le valutazioni scientifiche come un meccanismo per dilatare i tempi procedimentali, ridiscutendo anche scelte già prese.

  1. Negoziare delle adeguate compensazioni ambientali, ma entro un termine certo.

Nel campo della costruzione delle infrastrutture energetiche, un ruolo centrale è svolto dalle misure di compensazione e riequilibrio ambientali, congiuntamente individuate tra le regioni e gli enti locali da un lato, e le imprese dall’altro; processo di condivisione che è volto a identificare delle misure che siano direttamente correlate agli effetti concreti derivanti dalla realizzazione delle infrastrutture energetiche e riferite allo specifico contesto territoriale di interesse.

L’individuazione di tali compensazioni, tuttavia, non si deve trasformare, come talvolta accade, in uno strumento per fare pressioni su chi propone la realizzazione di un’opera o per mettere in stallo i vari procedimenti autorizzatori.

In questa ottica, si potrebbe allora prevedere un limite temporale entro il quale i soggetti interessati possono concludere gli accordi sulle misure di compensazione e di riequilibrio territoriale, da selezionare attraverso delle opportune linee-guida, disponendo altresì che, in assenza di una soluzione condivisa, nessuna compensazione possa essere prevista. La sede adeguata per l’introduzione di questa previsione potrebbe essere l’articolo 1, comma 5, legge n. 239/2004, il quale dispone, appunto, che le regioni e gli enti locali, territorialmente interessati dalla localizzazione di nuove infrastrutture energetiche ovvero dal potenziamento o trasformazione di infrastrutture esistenti, possano stipulare accordi con i soggetti proponenti che individuino misure di compensazione e riequilibrio ambientale, coerenti con gli obiettivi generali di politica energetica nazionale.

  1. Assicurare tempi certi alla Valutazione di Impatto Ambientale e prevedere poteri sostitutivi in caso di inerzia.

La Valutazione di Impatto Ambientale relativa alle infrastrutture energetiche richiede mediamente alcuni anni. Ciò accade per una serie di ragioni, tra cui si annoverano le innumerevoli richieste di integrazione al progetto originario e le frequenti opposizioni da parte di soggetti a vario titolo controinteressati. Per porre rimedio al problema dei tempi eccessivamente lunghi, si potrebbe prevedere un intervento normativo di semplificazione relativo alla disciplina delle valutazioni ambientali.

In particolare, nel caso in cui siano superati nel complesso i termini massimi indicati per ciascuna fase della procedura di valutazione di impatto ambientale, che ammonterebbero ad un totale di 225 giorni, ma che spesso vengono ampiamente superati, si potrebbe prevedere, attraverso una modifica del Codice dell’ambiente, che la decisione finale in ordine al contenuto della valutazione sia automaticamente rimessa al Consiglio dei ministri.

Si tratta, in sostanza, di replicare all’interno del procedimento di Valutazione di Impatto Ambientale le soluzioni normative già previste dalla legge sul procedimento amministrativo in materia di conferenza di servizi, in cui il dissenso può essere superato grazie all’intervento del Consiglio dei ministri. Ferma restando la necessità di garantire la migliore protezione ambientale possibile, l’obiettivo è evitare che il ritardo di un’amministrazione o un qualsiasi stallo procedimentale possa riverberarsi negativamente sullo svolgimento dell’intera procedura. 

  1. Introdurre l’adozione di Regolamenti interni degli enti aggiudicatori per i settori speciali.

Nell’ambito dei settori speciali, invece di accrescere la flessibilità degli enti aggiudicatori nella scelta e predisposizione delle procedure più idonee per l’affidamento dei contratti pubblici, il legislatore nazionale ha spesso operato in senso inverso – anche in elusione del divieto di gold plating – attraverso il travaso di disposizioni e di vincoli concepiti essenzialmente per i settori ordinari; sino a sfumare la specialità del settore ed appesantire l’attività degli enti aggiudicatori.

L’intervento principale che si propone è, dunque, quello di restituire la massima flessibilità operativa agli enti aggiudicatori, pur sempre nel rispetto dei vincoli europei, dei principi di pubblicità, trasparenza e parità di trattamento e dei controlli di ordine pubblico sulle imprese.

A tal fine potrebbe essere introdotta la facoltà per gli enti aggiudicatori nei settori speciali di disciplinare autonomamente le modalità di espletamento delle gare d’appalto con un proprio regolamento o modello interno adottato nel rispetto dei vincoli e principi sopra indicati. 

  1. Garantire un’adeguata tutela giurisdizionale, senza snaturare il ruolo del processo.

In materia di infrastrutture strategiche, il processo amministrativo è una garanzia non solo per i cittadini e le amministrazioni ma anche per le stesse imprese. Esso rischia però, in talune circostanze, di essere utilizzato strumentalmente, al fine di rallentare l’iter decisionale pubblico.

Per evitare che ciò accada si può immaginare di espandere ulteriormente le peculiarità del regime processuale delle controversie relative ad infrastrutture energetiche.

Si potrebbe perciò prevedere all’art. 125 del Codice del processo amministrativo, che disciplina appunto le controversie relative alle infrastrutture strategiche, la possibilità per il giudice amministrativo di disporre la sola tutela risarcitoria e non quella caducatoria degli atti del procedimento autorizzatorio eventualmente impugnati. Questa previsione servirebbe a disincentivare i ricorsi presentati con il mero fine di ostacolare il procedimento di realizzazione delle opere pubbliche.

L’art. 125 del Codice del processo amministrativo impone, del resto, già un regime peculiare, per quanto concerne la tutela cautelare accordabile in caso di richiesta di annullamento dell’aggiudicazione. Una disposizione di questo tipo, perciò, sarebbe coerente con l’obiettivo del codice di facilitare la celere realizzazione delle opere pubbliche. Essa, inoltre, troverebbe conforto anche nell’orientamento della Corte costituzionale, di recente ribadito nella sentenza n. 160/2019, secondo cui è possibile, in ipotesi particolari, riconoscere solo la tutela risarcitoria e non quella caducatoria, bilanciando il diritto alla difesa con altri interessi rilevanti, tra cui potrebbe evidentemente rientrare quello alla sollecita costruzione di opere di rilevante valore per la collettività.

  1. Costruire un clima di fiducia tra amministrazioni, imprese e cittadini.

Le proteste contro la localizzazione e la realizzazione di opere infrastrutturali di natura tecnologica hanno raggiunto oggi una diffusione capillare su tutto il territorio nazionale. Esse costituiscono l’espressione di un progressivo peggioramento del rapporto fiduciario tra le istituzioni e i cittadini e rappresentano un fenomeno complesso, da non sottovalutare.

Proprio per migliorare la qualità dei processi di localizzazione e costruzione di infrastrutture, aumentandone il grado di trasparenza e di accettazione sociale, si è ora introdotto, anche in Italia – all’articolo 22 del Codice dei contratti pubblici – il dibattito pubblico, sul modello francese. Questo istituto, se implementato correttamente, permetterebbe di far emergere più chiaramente eventuali forme di dissenso fin dalle fasi iniziali di elaborazione progettuale di un’opera, consentendo al proponente di conoscerle e valutarne la consistenza prima dell’avvio del procedimento di autorizzazione dell’opera infrastrutturale.

Oggi, peraltro, la disciplina puntuale del dibattito pubblico è dettata dal regolamento ministeriale di attuazione del 2018, che ne articola lo svolgimento secondo tempistiche contingentate, entro cui deve concludersi questa fase di partecipazione. Il mancato rispetto di questi termini non può risolversi, naturalmente, in una preclusione allo svolgimento del procedimento autorizzatorio, risultando altrimenti frustrate le esigenze di certezza dei tempi amministrativi e di celerità.

Queste previsioni, purtroppo, fino ad ora sono rimaste un mero manifesto normativo.

L’istituto, infatti, non è mai stato applicato per via della mancata nomina della Commissione nazionale per il dibattito pubblico, incardinata presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti.

Si dovrebbe quindi attivare quanto prima questa Commissione, posto che uno strumento partecipativo serio, come dovrebbe essere il dibattito pubblico, potrebbe aiutare a spegnere le conflittualità più accese che possono sorgere tra chi intende realizzare una opera pubblica e le comunità locali, aiutando a migliorare la stessa qualità dei processi decisionali pubblici.

 

(1) Le proposte qui formulate sono ulteriormente sviluppate e approfondite nell’ambito della ricerca di prossima pubblicazione condotta dall’IRPA, intitolata “Il costo burocratico per l’energia: le cause e i rimedi” e sostenuta da Snam S.p.A