Diritto d’accesso ad internet, infrastrutture di rete e usi ammessi del territorio

L’accesso ad internet gode di un’indiretta copertura costituzionale e lo Stato è chiamato, in una prospettiva di uguaglianza sostanziale, a adottare misure finalizzate al superamento del digital divide. Numerose sono le recenti disposizioni che incidono sulla disciplina urbanistica e paiono ispirate al perseguimento dell’interesse pubblico alla realizzazione delle infrastrutture di rete. Tale interesse non deve, tuttavia, comportare un irragionevole sacrificio di altri interessi pubblici che vengono in rilievo in relazione agli usi ammessi del territorio.

L’emergenza sanitaria da Covid-19 ha fornito l’ulteriore dimostrazione di come non solo le libertà d’informazione, di corrispondenza, d’iniziativa economica, di associazione siano costantemente esercitate online, ma anche il diritto alla tutela giurisdizionale, il diritto al lavoro, il diritto all’istruzione abbiano trovato, attraverso la rete, nuove declinazioni.Da oltre un ventennio la dottrina si interroga sul fondamento costituzionale del diritto d’accesso alla rete, dando luogo ad un dibattito ancora molto vivace. Sebbene non siano mancati tentativi di introdurre una norma costituzionale ad hoc, l’analisi giuridica deve essere condotta alla luce della Costituzione vigente. Secondo la tesi da ritenere preferibile non può configurarsi un vero e proprio diritto di rango costituzionale “di accesso alla rete internet”, ma piuttosto può riconoscersi il diritto ad esercitare, anche attraverso la rete, libertà costituzionalmente garantite. In proposito si osserva che l’ordinamento amministrativo è stabilmente orientato verso un modello nel quale l’esercizio di funzioni pubbliche e l’erogazione di servizi di pubblico interesse dipendono dall’interazione in rete fra cittadino e Amministrazione: siamo nel mezzo di una graduale transizione verso uno Stato che ammette, talvolta esclusivamente, la modalità telematica per l’esercizio di diritti e l’adempimento di doveri propri del rapporto di cittadinanza. Quando il rapporto tra Amministrazione e cittadino diviene obbligatoriamente e per scelta del legislatore un rapporto di cittadinanza digitale che coinvolge l’esercizio di libertà e diritti di rilevanza costituzionale, la garanzia costituzionale di questi si estende all’accesso al mezzo. Si pensi al diritto a godere di alcune provvidenze sociali (che, sovente, possono essere richieste solo online), al diritto di difesa nel processo telematico, al diritto all’istruzione (con la d.a.d. ed i necessari programmi di innovazione digitale dei plessi scolastici e di sviluppo delle competenze digitali del personale docente), al diritto al lavoro (con l’esperienza del “lavoro agile”), al diritto alla salute (con i progetti in tema di “servizi digitali” “fascicolo sanitario elettronico” e “telemedicina”).

Se internet costituisce il mezzo per esercitare diritti costituzionalmente rilevanti, l’accesso alla rete finisce per godere di un’indiretta copertura costituzionale: alla Repubblica spetta, in attuazione del principio personalista e del principio di uguaglianza sostanziale, il compito di adottare misure finalizzate al superamento del digital divide infrastrutturale e cognitivo che affligge una parte della popolazione e che talvolta si concentra in specifiche aree territoriali.

In una prospettiva di tutela effettiva, il diritto di accesso alla rete “a banda ultralarga” dovrebbe costituire un diritto sociale non “finanziariamente condizionato” dal quale discenderebbe l’obbligo in capo allo Stato di garantire a chiunque i relativi servizi a un prezzo abbordabile e indipendentemente da ogni valutazione di convenienza economica.

In proposito, il nuovo articolo 94 d.lgs. n. 259/2003 (novellato dal d.lgs. n. 207/2021 di recepimento della direttiva Ue 2018/1972), individua la nozione di servizio universale, includendovi il diritto dei consumatori di fruire, “a un prezzo accessibile”, di un adeguato servizio di accesso a internet in postazione fissa, sebbene si faccia riferimento ad un’ampiezza di banda (“banda larga”) inferiore a quella garantita dalla “banda ultralarga”.

Gli interventi per lo sviluppo di infrastrutture per la banda ultralarga ‒ oggetto di cospicui finanziamenti nell’ambito del PNRR ‒ costituiscono i pilastri della Strategia italiana per la Banda Ultralarga (2021), che definisce le azioni necessarie al raggiungimento degli obiettivi di trasformazione digitale indicati dalla Commissione nel 2016 e nel 2021. Essa si pone in continuità con la “strategia” del 2015, nell’ambito della quale era già stato previsto l’intervento dello Stato per la costruzione, manutenzione e gestione in regime di concessione di una rete pubblica nelle aree “a fallimento di mercato”.

Per agevolare la realizzazione di tali interventi infrastrutturali il legislatore già da tempo ha introdotto istituti di semplificazione procedimentale.

L’art. 8 bis d.l. n. 135/2018, ad esempio, prevede la semplificazione del procedimento per il rilascio dell’autorizzazione archeologica (ex art. 21 d.lgs. n. 42/2004) nel caso in cui per la realizzazione della rete si utilizzino “infrastrutture fisiche esistenti e tecnologie di scavo a basso impatto ambientale”. La disposizione, inoltre, riduce il termine per il rilascio dell’autorizzazione archeologica e di inizio lavori in località sismiche e detta ‒ sul versante dei tributi locali ‒ una disciplina derogatoria e più favorevole per gli operatori che forniscono reti di comunicazioni elettroniche.

Sotto altro profilo, ai sensi del novellato art. 43 d.lgs. n. 259/2003, le infrastrutture e le opere serventi alla realizzazione di reti pubbliche di comunicazione e a banda ultralarga, pur restando di proprietà dei rispettivi operatori, sono assimilate ad ogni effetto alle opere di urbanizzazione primaria e ad esse non si applica la disciplina edilizia e urbanistica, mentre resta ferma l’applicabilità delle disposizioni del d.lgs. n. 42/2004.

Una rilevante novità riguarda la limitazione del potere dei Comuni in materia di “inquinamento elettromagnetico”. È noto che il potere regolamentare previsto in capo ai Comuni al fine di “assicurare il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti e minimizzare l’esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici” (art. 8, comma 6, l.n. 36/2001), così come il potere di adottare ordinanze contingibili e urgenti ex artt. 50 e/o 54 t.u.e.l., sono stati usati spesso con grande disinvoltura dai “Sindaci legislatori” per sancire il divieto di sperimentazione e di installazione di impianti per la diffusione della tecnologia di telecomunicazioni “5G” (oggetto di nuovi cospicui investimenti con il PNRR).

Si tratta di scelte politico-amministrative che, pur se adottate a tutela delle comunità locali, finiscono per introdurre barriere insormontabili allo sviluppo delle infrastrutture di telecomunicazioni, in contrasto con le politiche europee e nazionali.

Tuttavia, la frequente adozione di ordinanze sindacali extra ordinem, ha generato una reazione difensiva dell’ordinamento anzitutto sul versante giurisprudenziale, come dimostrano alcune pronunce del giudice amministrativo che hanno accertato l’illegittimità di tali ordinanze e la contrarietà delle stesse all’interesse pubblico alla celere realizzazione delle infrastrutture di rete.

Sul versante legislativo, il potere del Sindaco in materia di inquinamento elettromagnetico è stato circoscritto escludendo la possibilità di introdurre limitazioni alla localizzazione di reti di comunicazioni elettroniche e, in ogni caso, “di incidere, anche in via indiretta o mediante provvedimenti contingibili e urgenti, sui limiti di esposizione a campi elettromagnetici” (art. 38, comma 6, d.l. n. 76/2020).

Il diritto di accesso alla rete sta anche modificando il modo di vivere gli spazi urbani.

Ad esempio, con la diffusione del c.d. “lavoro agile”, si registrano segnali di “fuga” dalla metropoli e di un graduale ripopolamento dei centri urbani minori dove il costo della vita (e degli immobili) è notevolmente inferiore, mentre è spesso assicurata una migliore qualità della vita. Diventa strategica, in tale prospettiva, la più ampia diffusione di infrastrutture di rete a banda ultralarga.

Da un programma effettivo di infrastrutturazione potrebbero trarre giovamento anche le periferie dei grandi centri urbani, afflitte da situazioni di “degrado fisico” e da fenomeni di disagio socioeconomico.

Occorrerà, tuttavia, vigilare affinché la tutela dell’interesse pubblico all’accesso alla rete internet (perseguito anche attraverso lo sviluppo della relativa infrastruttura) non comporti un irragionevole sacrificio di altri valori e interessi di rango costituzionale che rilevano in relazione agli usi ammessi del territorio.

 

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