L’osteggiata tecnologia 5G arriva al vaglio del giudice amministrativo

Anche il giudice amministrativo, come insegna l’esperienza, si confronta con le innovazioni tecnologiche. Nel post si dà conto delle pronunce (di merito e cautelari) emesse dai TAR che sono stati aditi da operatori di telecomunicazioni che hanno contestato la legittimità delle ordinanze contingibili e urgenti con cui i Sindaci di alcune città del Sud Italia hanno inibito la sperimentazione e l’installazione sul territorio di impianti per la diffusione della tecnologia 5G.

Anche il giudice amministrativo, come rilevato in altri post di questo osservatorio, sta via via confrontandosi con le “nuove” realtà tecnologiche (si vedano i post sul procedimento amministrativo robotizato, ma anche quelli di P. Clarizia di commento alle pronunce sulle criptovalute e sul valore economico-commerciale dei dati personali) .

Da ultimo, esso ha dovuto fare i conti con una delle nuove tecnologie di telecomunicazioni: il cd. 5 G.

In particolare, i Tribunali Amministrativi Regionali si sono trovati a dovere decidere (e si troveranno a dovere decidere nel merito) della legittimità di alcuni provvedimenti amministrativi con cui sono state vietate la sperimentazione e l’installazione sul territorio di impianti per la diffusione della tecnologia di telecomunicazioni di quinta generazione.

Come noto, la sigla 5G si riferisce a un insieme di tecnologie di comunicazione mobile a banda larga che aumentano la velocità di connessione e la capacità di supportare connessioni simultanee alla rete (sull’argomento, si vedano i post di B. Barmann e E. Schneider pubblicati su questo osservatorio).

Non poche sono le critiche che si accompagnano alla diffusione di questa nuova tecnologia, in tutta Europea; in particolare, si paventano vari rischi per la salute degli abitanti, derivanti dall’esposizione delle onde elettromagnetiche prodotte dagli apparati 5G.

Anche in Italia, soprattutto nel corso della pandemia che stiamo vivendo, le polemiche sono aumentate sempre di più, tanto che  il Ministero della Salute si è trovato costretto a dover chiarire, in via ufficiale, che “non ci sono evidenze scientifiche che indichino una correlazione tra epidemia da nuovo coronavirus e rete 5G” e che “ad oggi, e dopo molte ricerche effettuate, nessun effetto negativo sulla salute è stato collegato in modo causale all’esposizione alle tecnologie wireless”.

Proprio per questi motivi, alcuni Sindaci dell’Italia meridionale, spinti anche dalle opposizioni delle proprie comunità territoriali, hanno tentato di impedire l’insediamento di impianti tecnologici ritenuti pregiudizievoli per l’ambiente e la salute dei cittadini.

Rilevano, in quest’ottica, tra le altre, le ordinanze contingibili e urgenti con cui i Sindaci di Messina e di Carinola, in applicazione del principio di precauzione, hanno vietato la sperimentazione, l’installazione e la diffusione di impianti con tecnologia 5G in attesa di dati scientifici più aggiornati.

Invero, iniziative di questo tipo, frapponendo delle barriere allo sviluppo delle infrastrutture di telecomunicazioni, incidono negativamente sulla crescita di un settore strategico per il progresso economico e sociale del Paese, e rischiano, così, di far sì che si configuri un’Italia a due velocità: quella delle zone in cui comunità e autorità non si oppongono allo sviluppo e quella delle zone in cui istituzioni e cittadini pretendono di frenare l’innovazione.

Eppure, come rilevato dall’AGCM in una recente segnalazione, il contesto emergenziale attuale ha mostrato quanto sia importante avere a disposizione delle infrastrutture di telecomunicazioni che siano in grado di sostenere le esigenze di comunicazione di famiglie e imprese (e ci consentano altresì di superare il grave digital divide che affligge l’Italia): “la diffusione della banda ultralarga sul territorio”, si legge nella segnalazione, “è […] necessaria per abilitare in modo significativo la diffusione dell’informazione, la condivisione e l’accessibilità del patrimonio pubblico, lo sviluppo e l’adozione di nuovi servizi digitali, sia nel settore pubblico che privato nonché il potenziamento dei servizi digitali”.

I giudici amministrativi (in un caso annullando i provvedimenti sindacali suddetti, in un altro sospendendone l’efficacia) hanno rilevato che “la materia in esame non si presta a essere regolata mediante ordinanza sindacale contingibile e urgente” e che, a monte, non spetta al Comune il potere di valutare i rischi connessi all’esposizione derivante dagli impianti di telecomunicazioni, posto che una valutazione di tal fatta è di esclusiva pertinenza dell’A.R.P.A., organo deputato al rilascio del parere prima dell’attivazione della struttura e al monitoraggio del rispetto dei limiti prestabiliti normativamente dallo Stato.

Evidentemente, le decisioni non attengono al merito della scelta e dunque nulla dicono (perché nulla possono dire) circa la effettiva pericolosità della pratica e la necessità di agire con cautela alla sua attuazione.

Tuttavia, si tratta di elaborazione giurisprudenziale che si pone in linea con gli ultimi interventi legislativi, che, recependo la giurisprudenza consolidata, per un verso, sanciscono oggi l’illegittimità di un divieto comunale generalizzato alla installazione degli impianti del genere in esame, e, per un altro, stabiliscono l’impossibilità di adottare ordinanze contingibili e urgenti per incidere sui limiti di esposizione a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici, sui valori di attenzione e sugli obiettivi di qualità, riservati allo Stato (cfr. art. 8 della legge 22 febbraio 2001, n. 36, così come modificato dal d.l. 16 luglio 2020, n. 76, al comma 6).

Il legislatore italiano (che ha invero altresì potenziato il servizio di pubblica utilità con recenti misure straordinarie ai sensi dell’art. 82 del d.l. n. 18/2020) ha in tal modo voluto scongiurare a) il pericolo che la giurisprudenza amministrativa, seguendo l’orientamento meno rigoroso, legittimasse l’utilizzo di questi strumenti eccezionali; b) prima ancora, l’eventualità che i Comuni, seppure per il tramite degli ordinari mezzi offerti dall’ordinamento, intervenissero su una materia di competenza statale.

In ogni caso, il tema resta evidentemente caldo e le proteste dei cittadini sull’argomento non è detto siano destinate a sopirsi: finché l’opinione pubblica non sarà debitamente resa edotta circa quelli che saranno gli esiti (calcolabili) della decisione assunta in termini di impatto sulla salute, sulla qualità della vita e sulla salubrità del territorio e vivrà quindi nell’incertezza relativa alle ricadute delle scelte su questi aspetti, le resistenze, che ricordano quelle opposte dai singoli alle scelte localizzative delle grandi opere pubbliche, continueranno verosimilmente a sussistere.

Anche all’estero il tema provoca invero scontri importanti: il Governo francese, proprio al fine di sopire le proteste dei comitati NO5G, ha previsto dei test a tappeto sugli impianti mobili di tutte le generazioni e sugli smartphone 5G (il piano dei controlli delle emissioni, gestito da ANFR, è stato messo a punto dal Ministro per il digitale Cédric O).

Non resta quindi che verificare come le Istituzioni italiane decideranno di rispondere alle eventuali insurrezioni, se i sindaci rispetteranno la norma di recente modificata, oppure no, se i cittadini accetteranno di fidarsi di quel poco che è stato loro finora comunicato ufficialmente, ovvero se, in un contesto di incertezza e informazioni parziali e parcellizzate, basandosi sulla dis-informazione alimentata dalle frequenti fake-news, continueranno a opporsi strenuamente all’utilizzo di una tecnologia che “potrebbe” essere (ma non è detto sia) dannosa.

Non è da escludersi, invero, che i Comuni cercheranno comunque di opporsi in altro modo alla installazione e alla sperimentazione di siffatti impianti di tecnologia (ad es., nelle more della definizione del Piano di localizzazione alla cui adozione sono tenuti, sulla falsariga di quanto disposto dal comune di Ispica, potranno illegittimamente sospendere, in via cautelativa -e sine die- i lavori di installazione di tutti gli impianti già assentiti nonché le procedure di autorizzazione in itinere): vero è che, in questo caso, il giudice amministrativo, allineandosi ai precedenti intervenuti sull’argomento, potrà eventualmente rilevare l’illegittimità dei provvedimenti che essi emaneranno; ma è altrettanto vero che il progresso economico e sociale del Paese (che per vedersi realizzato, necessiterà, in tal caso, dell’intervento giurisdizionale) sarà, dunque, nel frattempo, ulteriormente destinato a rallentare.

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