Recensione a “The Politics of Anthropocene” (J.S. Dryzek, J. Pickering)

L’era geologica attuale – l’Olocene – inizia circa dodicimila anni fa. Nel corso di questo periodo di relativa stabilità del pianeta Terra, homo sapiens raggiunge una posizione di dominio sulle altre specie viventi e il controllo dell’ambiente che lo circonda – al punto che taluni ritengono sia più corretto definire con il termine “Antropocene” l’era geologica attuale. Cosa accade nel momento in cui questa stabilità viene meno, minacciata da fenomeni globali come le pandemie o il “global warming”? Le strutture politiche ed economiche moderne sono in grado di fronteggiare le nuove sfide globali? Hanno cioè la capacità di resilienza e di trasformazione necessarie per far fronte ai cambiamenti globali?

 

L’era geologica attuale – l’Olocene – inizia circa dodicimila anni fa. Nel corso di questo periodo di relativa stabilità del pianeta Terra, homo sapiens raggiunge una posizione di dominio sulle altre specie viventi e il pieno controllo dell’ambiente che lo circonda – al punto che taluni ritengono sia più corretto parlare di una nuova era geologica: l’“Antropocene” – l’era degli uomini.

Muovono da questa premessa Dryzek e Pickering, nel loro ultimo libro, formulando la seguente osservazione critica: fino a che punto le strutture politiche, economiche e sociali della modernità, sono in grado di fronteggiare cambiamenti repentini, inaspettati e su scala globale? In altre parole, possono strutture organizzative nate in un contesto di tendenziale stabilità, sufficienti capacità di resilienza sufficienti e potenzialità di trasformazione tali da far fronte a fenomeni come le pandemie o il riscaldamento globale?

Il punto critico, secondo gli autori, è che la struttura alla base dei mercati e dei governi moderni è stata pensata per dare priorità a contingenze economiche, fenomeni di breve periodo, irrilevanti se posti a confronto con mutamenti di lungo corso, come quelli di natura ambientale, del cui impatto abbiamo percezione solamente in epoca recente.

Per sopravvivere a sé stesse, le infrastrutture politiche ed economiche dovranno sviluppare quella che Dryzek e Pickering chiamano “ecological reflexivity” – ossia la capacità di adattamento rapido ai segnali trasmessi dal Pianeta Terra. Ciò dovrebbe tradursi, per un verso, nel rafforzamento di alcuni pilastri delle democrazie occidentali: la sostenibilità, la partecipazione democratica e la giustizia, per esempio. Per altro verso, la capacità di adattamento dovrebbe tendere verso una maggiore destrutturazione dei centri di potere, riavvicinando questi ultimi ai territori, sviluppando così sistemi decisionali democratici di prossimità.