L’eclisse digitale

I diritti digitali sono in recessione da oltre dieci anni – e con essi i principi fondanti dei sistemi democratici contemporanei. La pandemia scoppiata nei primi mesi del 2020 – e il conseguente trasferimento di numerose attività umane online: commercio, istruzione, socialità e politica – ha imposto nuove sfide alle democrazie e ai diritti umani. Tre sono particolarmente importanti. Primo, l’accesso alle informazioni. I governi di molti Paesi hanno oscurato siti web o introdotto nuove forme di censura online, preoccupati dalla diffusione incontrollata di notizie non veritiere. Le attività di sorveglianza digitale da parte delle autorità pubbliche, al contrario, hanno subito una forte accelerazione. In molti casi, tuttavia, la necessità di tutelare la salute pubblica ha colpito il diritto alla riservatezza. Infine, abbiamo assistito alla proliferazione di regole a presidio di Internet, frutto della volontà dei governi di imporre principi più solidi a difesa della propria sovranità digitale. L’‘eclisse digitale’ è conseguenza di decisioni apparentemente funzionali alla tutela della salute pubblica; in realtà pericolosamente anti-democratiche e liberticide.

 

 

Si è parlato molto, e a ragione, degli effetti positivi prodotti dall’emergenza sanitaria globale sulla transizione digitale delle funzioni pubbliche di regolazione (ne abbiamo scritto Qui, Qui e Qui). Altrettanto si è detto delle distorsioni indotte da questa transazione – in particolare delle sfide che quest’ultima ha posto ai valori fondanti dei sistemi democratici contemporanei. Tra queste, ad esempio, la restrizione ingiustificata delle libertà individuali, oppure l’accrescimento del divario digitale tra fasce di popolazione.

Interviene, al riguardo, la no-profit statunitense Freedom House che nel suo ultimo rapporto parla di Digital Shadowl’eclisse digitale cui corrisponde la compressione della sfera di libertà individuale (quest’ultima conseguenza delle decisioni anti-democratiche di numerosi governi, adottate nel tentativo di contrastare la diffusione della pandemia).

Freedom House si concentra su tre problemi. Il primo riguarda l’accesso alle informazioni. In molti Paesi, la libertà dei cittadini di accedere e consultare liberamente informazioni in rete ha subito una compressione negli ultimi mesi. L’oscuramento dei siti web, la censura imposta ai social network e la moderazione del dibattito online disposte dai governi rappresentano spesso il tentativo di limitare la diffusione incontrollata di notizie non veritiere. Il risultato è però un deterioramento significativo della libertà di informazione. Su un totale di 65 Paesi presi in considerazione dal rapporto, 28 registrano una regressione significativa nella qualità e quantità dell’accesso alle informazioni.

Un esempio lampante: la Cina. Dai primi mesi del 2020, il governo cinese ha aumentato il numero di moderatori operanti sulla piattaforma Weibo (l’equivalente cinese di Twitter). A costoro è affidato il compito di censurare contenuti qualora contengano una delle duemila parole chiave elencate in una lista ufficiale. Altrettanto preoccupanti sono il caso egiziano (tra Marzo e Aprile 2020 il Supreme Council for Media Regulation del governo egiziano ha oscurato numerosi siti web con l’accusa di diffondere false informazioni sulla pandemia), quello del Venezuela (il Presidente Nicolas Maduro ha utilizzato l’emergenza sanitaria per ostacolare i mezzi di informazione vicini alle forse politiche dell’opposizione) e della Bielorussia.

Diversamente dall’accesso alle informazioni, le attività di sorveglianza digitale promosse dalle autorità pubbliche hanno subito una forte accelerazione. Anche in questo caso i motivi delle restrizioni sono legittimati dalla necessità, vera o presunta, di tutelare la salute pubblica. Non sempre, tuttavia, lo sviluppo di nuove applicazioni digitali per il tracciamento degli spostamenti o per il controllo della sicurezza pubblica hanno tenuto in debita considerazione il diritto alla riservatezza e alla libertà di espressione (ne abbiamo scritto Qui, Qui e Qui).

Lo studio guarda in particolare al caso delle applicazioni mobili per il tracciamento digitale. La quasi totalità dei Paesi esaminati dagli autori (54 su 56) ha sviluppato una propria applicazione digitale, dimenticando il più delle volte il principio del cd. privacy-by-design, ossia la precedenza automatica riconosciuta alla tutela dei dati personali rispetto a quella relativa al tracciamento.

Alcuni esempi: in India, l’app Aarogya Setu raccoglie le informazioni sugli spostamenti di ciascun utente e li trasferisce direttamente a un database controllato dal governo. In alcune città la violazione dell’obbligo di installazione dell’app sul cellulare è perseguibile penalmente. Un’altra applicazione, utilizzata dal governo federale del Karnataka, impone agli utenti di scattare una fotografia a intervalli periodici e di pubblicarla attraverso l’applicazione, unitamente ai metadati sulla localizzazione. Anche in Russia, l’app Social Monitoring chiede agli utenti di scattare fotografie di se stessi (selfie) per dimostrare il rispetto dei vincoli agli spostamenti. In meno di un mese, le autorità di polizia russe hanno elevato oltre 54,000 sanzioni amministrative a carico degli inadempimenti. In Arabia Saudita, la Tetamman app impone agli utenti anche l’uso di un braccialetto bluetooth. Il mancato rispetto delle norme comporta una sanzione pecuniaria e fino a due anni di reclusione.

Ora, è utile contestualizzare queste riflessioni. Per molti occidentali, quelle descritte sarebbero misure inaccettabili e molto difficilmente avrebbero potuto essere approvate dai governi in carica. Attenzione però, questo non significa che l’Occidente non presenti rischi in tal senso. È interessante citate, al riguardo, un recente studio curato dal National Bureau of Economic Research statunitense. I ricercatori intendevano scoprire il legame tra la percezione dei diritti civili e le misure di contenimento della pandemia. Un questionario distribuito tra 15 Paesi, cui hanno risposto oltre 370 mila individui, ha messo in luce tre aspetti interessanti. Il primo è che, tendenzialmente, gli individui non sono contrari a restrizioni temporanee delle proprie libertà individuali, soprattutto se queste sono funzionali al successo delle misure di contrasto alla pandemia. Questa disponibilità, tuttavia, è inversamente proporzionale a due ulteriori fattori. Anzitutto, alla durata delle costrizioni che incidono sulle libertà. Maggiore il tempo per cui queste si protraggono, minore la disponibilità a rispettarle. Inoltre – ed è il terzo aspetto interessante – c’è un legame diretto tra la qualità delle informazioni trasmesse alla popolazione e la disponibilità a rinunciare all’esercizio di diritti. In altre parole: più bassa è la qualità delle informazioni, minore sarà la propensione individuale ad adeguarsi alle restrizioni volute dai governi. Lette in questo contesto, le osservazioni critiche avanzate dallo studio di Freedom House in merito alla compressione dei diritti sembrano estendersi, con le dovute differenziazioni, anche ai governi occidentali.

L’ultima area di libertà a preoccupare gli autori del rapporto riguarda la regolazione di Internet. Le misure adottate dai governi per contenere la curva epidemiologica o introdurre forme di sostegno all’economia hanno avuto ricadute anche sul quadro normativo a presidio di Internet. In molti casi, denuncia il rapporto, questo ha consentito ai governi di affermare nuovi spazi di sovranità digitale.

Il tema è di grande attualità (ne abbiamo parlato Qui) e meriterebbe una trattazione più approfondita. Ci limitiamo qui a sottolineare come l’eccesso di misure protezionistiche sulla rete produce una tensione tra due visioni opposte. Da una parte, quella favorevole allo scambio di informazioni tra aree geografiche diverse; dall’altra quella che, anche in nome della pandemia, rivendica restrizioni in ingresso e uscita, danneggiando nuovamente la libertà di informazione degli individui.

Licenza Creative Commons
Quest’opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione – Non commerciale – Non opere derivate 4.0 Internazionale.