DuckDuckGo e il downgrade contro la disinformazione

Il motore di ricerca DuckDuckGo a marzo ha deciso di effettuare il downgrade dei siti ritenuti di disinformazione russa. Questa misura si è accompagnata alla sospensione della propria associazione con il motore di ricerca russo Yandex. Tali misure sono la conseguenza della distanza che il browser e il suo ideatore intendono assumere per osteggiare il comportamento bellico della Russia nei confronti dell’Ucraina. È dibattuto se questa scelta sia in contrasto con l’idea ispiratrice del motore di ricerca, teso a distinguersi dalle principali Big Tech.

Nel mese di marzo il motore di ricerca DuckDuckGo  ha deciso di effettuare il downgrade dei siti ritenuti di disinformazione russa, delineando in tal modo una risposta al conflitto russo-ucraino che da oltre quattro mesi incide sugli equilibri globali. Questa scelta, portata avanti dal suo fondatore e Chief Executive Officer Gabriel Weinberg, è stata da molti utenti criticata, perché da essi considerata in contrasto con l’idea ispiratrice del motore di ricerca.

Weinberg, in un tweet del 10 marzo, ha annunciato la sua decisione scrivendo ‹‹Like so many others I am sickened by Russia’s invasion of Ukraine and the gigantic humanitarian crisis it continues to create. #StandWithUkraine. At DuckDuckGo, we’ve been rolling out search updates that down-rank sites associated with Russian disinformation››. Molti utenti a causa di questa scelta hanno negato la loro fiducia al motore di ricerca, sostenendo di essersi sentiti oltraggiati. Tra i moltissimi commenti su Twitter degli utenti, si legge ‹‹We no longer trust anyone to decide for us what is misinformation. Let us make our own calls about that››.

DuckDuckGo nasce nel 2008 proprio come alternativa ai giganti delle Big Tech, considerando prioritaria la tutela della privacy dei suoi utenti. Non prevede, infatti, tracking pubblicitario, non raccoglie dati e non li condivide con aziende terze. La crescita dell’utenza è stata notevole negli ultimi anni, arrivando ad un record quotidiano di ricerche pari a cento milioni. Va ricordato che DuckDuckGo è disponibile come motore di ricerca per mobile e desktop, come estensione per browser desktop e come browser per Android e iOS, e sono cresciuti anche i download di queste app. La scelta in questione ha però segnato una battuta di arresto di questa fervida crescita.

Weinberg in risposta alle provocazioni degli utenti riafferma lo spirito della piattaforma, sottolineando che ‹‹The whole point of DuckDuckGo is privacy. The whole point of the search engine is to show more relevant content over less relevant content, and that is what we continue to do››.

Osservata la fattispecie concreta, è ora il caso di soffermarsi su alcuni aspetti.

In primis, cosa si deve intendere per disinformazione e quali sono i confini di questa nozione? La disinformazione, nella sua più comune definizione, è la diffusione intenzionale di notizie o informazioni inesatte o distorte allo scopo di influenzare le azioni e le scelte di qualcuno. Le strategie di disinformazione si basano sulla manipolazione delle percezioni ed è interessante che l’origine di questo termine ha le sue radici proprio nella parola russa “dezinformatzija”. La parola nasce, infatti, per designare un’arma strategica russa rivolta alla realizzazione di operazioni tattiche di intelligence. La scelta di contrastare questo fenomeno attraverso il downranking si è accompagnata anche alla sospensione della associazione di DuckDuckGo con il motore di ricerca russo Yandex. Si annovera, tra le misure adottate, anche la possibilità di visualizzare sulle piattaforme del motore di ricerca moduli di notizie e riquadri informativi che abbiano selezionato “informazioni di qualità” rispetto a determinati argomenti. Questa stessa linea di contrasto alla disinformazione è stata adottata anche dalle Big Tech, quali Google, Facebook, YouTube. Forse proprio nel “fare come loro” si insinua la disapprovazione di molti utenti. Resta, comunque, difficoltoso poter stabilire confini certi per il concetto di disinformazione, o per meglio dire per ciò che ogni azienda consideri come disinformazione.

Con riferimento al secondo aspetto, si sottolinea che la delusione di alcuni utenti si mescola a polemiche fondate sull’idea che il motore di ricerca abbia realizzato una vera e propria censura, contrariamente allo spirito del medesimo, da sempre enunciato nella neutralità e libertà della ricerca. Sorge allora una domanda: il downgrade effettuato da DuckDuckGo è astrattamente paragonabile ad un esercizio di censura?

Gli utenti legano all’attività di downgrade una discrezionale scelta del browser di selezionare in modo arbitrario i risultati di ricerca, parimenti a quanto avviene per i browser Big Tech, dai quali invece si distingue configurandosi come alternativa. L’accusa di censura da parte degli utenti risulta incardinata così in una violazione della libertà di espressione e informazione.

Weinberg, al contrario, sottolinea che la sua decisione è orientata a selezionare risultati di ricerca pertinenti piuttosto che informazioni errate. Il downgrade è poi meccanismo differente dalla censura in quanto non vi è cassazione definitiva di contenuti, ma un semplice ranking delle ricerche.

Va, inoltre, osservato che le politiche sulla privacy di DuckDuckGo non corrispondono a politiche sui contenuti, nel senso che l’assenza di meccanismi di profilazione degli utenti non impedisce che il motore di ricerca sottostia alle stesse politiche sui contenuti a cui sono vincolati i browser Big Tech, in quanto è proprio da qui che ottiene i risultati di ricerca. La capacità di moderare e gestire la qualità della ricerca non è necessariamente, nell’ottica di DuckDuckGo, un esercizio di censura, bensì la volontà di fornire l’accesso a informazioni accurate.

Se da un lato si è constatato che la disinformazione è concetto un po’ labile, dall’altro l’accusa di censura rischia di essere la conseguenza di una errata comprensione dei meccanismi che regolano la normale gestione di un motore di ricerca. Un motore di ricerca è, infatti, rivolto a classificare i siti web in base a ciò che ritiene fornisca al ricercatore le informazioni più rilevanti. La neutralità del restituire solo risultati casuali sarebbe, pertanto, attività non utile ai fini della ricerca. Ciò non toglie che le varie piattaforme, con le attività di moderazione e raccomandazione dei contenuti, incidano direttamente sulla diffusione delle notizie e in generale delle idee. Parte della dottrina giuridica americana definisce, infatti, le piattaforme quali “poteri privati”, cioè soggetti che agiscono nelle forme del diritto privato, ma che per la loro forza economica e/o sociale, incidono sulle libertà fondamentali dei singoli.

 

 

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