Clearview in USA e privacy: un cambio di paradigma?

Le tecniche di riconoscimento facciale si stanno diffondendo, negli ultimi tempi, in maniera massiva e sono sempre più impiegate anche dalle forze dell’ordine per la lotta alla criminalità. Ne è esempio l’applicazione statunitense Clearview che, attraverso un database contenente circa tre miliardi di foto, consente l’identificazione di soggetti tramite il confronto tra queste ultime – prelevate da siti Internet e social networks – e le immagini caricate sull’applicazione, con inevitabili ripercussioni sul diritto alla privacy.

Il riconoscimento facciale è una tecnica biometrica utilizzata principalmente per consentire l’identificazione di un individuo attraverso il confronto dei suoi connotati facciali, acquisiti per il mezzo di strumenti tecnologici di diversa natura, con i volti di soggetti noti, raccolti all’interno di un database.

L’impiego di tale tecnologia, negli Stati Uniti, è aumentato esponenzialmente in tempi recenti e si è diffuso anche tra i mezzi utilizzati dalle forze dell’ordine. Ne è un esempio significativo l’attività di Clearview AI, una startup con sede a NYC, nata dalle idee di un “ingegnere autodidatta” australiano, Hoan Ton That. Clearview AI, studiando le tecniche di riconoscimento facciale, crea una banca dati di immagini estrapolate da famosi siti Internet e social networks, quali Facebook, Youtube, Instagram, Venmo. Caricando una foto nell’applicazione “Clearview”, sviluppata già nel 2017, è possibile risalire all’identità del soggetto che si intende individuare tramite il confronto con le foto presenti nell’amplissimo database, contenente circa tre miliardi di immagini.

Ben presto, dal 2019, l’applicazione è utilizzata dalle forze dell’ordine statunitensi, che la impiegano per la lotta contro la criminalità, con problematiche derivanti dall’imperfezione intrinseca di un sistema di questo tipo, che – sebbene permetta l’utilizzo di foto anche non nitide, non frontali, di soggetti con gli occhiali – soffre di un discreto margine d’errore e presenta un rischio evidente relativo al potenziale nocumento del diritto alla privacy così come lo conosciamo.

Tali censure rappresentano le stesse avanzate da David Mutnick, promotore dalla class action contro Clearview AI, con un ricorso depositato il 22 gennaio 2020 alla Illinois Northern District Court, con il quale i ricorrenti sostengono proprio la palese lesione della privacy perpetuata dalla startup, nei confronti dei soggetti inseriti nella banca dati, nonché la violazione di diversi Emendamenti alla Costituzione americana.

Le attività di Clearview sono rese note grazie a un articolo del New York Times di pochi giorni prima, dal quale si apprende che risulta sufficiente caricare la foto di una persona sull’applicazione per essere in grado di avere contezza circa l’esistenza di altre immagini pubbliche della stessa persona, grazie al confronto con diversi siti Internet e social networks, e ottenere il link in cui le medesime sono postate.

Dal ricorso si legge che Clearview avrebbe usato Internet per ottenere informazioni nascoste su milioni di cittadini americani, raccogliendo circa tre miliardi di foto, senza neppure motivo di sospettare che tra i soggetti schedati ve ne sia qualcuno che possa aver commesso illeciti e non tenendo minimamente conto della presunzione di innocenza. Dopo aver ottenuto queste immagini, Clearview avrebbe utilizzato algoritmi di intelligenza artificiale per scansionare la geometria facciale di ogni individuo rappresentato nelle foto, violando diverse leggi sulla privacy. Clearview fornisce, inoltre, tali dati alle forze dell’ordine dell’Illinois a pagamento.

In tal modo, avrebbe violato il I, il IV e il XIV Emendamento alla Costituzione americana.

Poco tempo dopo, anche alla U.S. District Court for the Eastern District of Virginia viene intentata una causa contro Clearview AI, relativa al database detenuto, in quanto violerebbe una legge della Virginia che regola il diritto dei “proprietari” di controllare l’uso commerciale fatto di nomi e immagini personali.

E gli stessi social networks e siti Internet (Google, Venmo, YouTube, LinkedIn, precedute da Twitter) utilizzati dall’applicazione, diffidano la stessa al fine di ottenere la cessazione dell’utilizzo dei propri contenuti. Hoan Ton That, dal canto suo, difende l’operato di Clearview AI, sostenendo che l’utilizzo delle solo immagini pubbliche dei soggetti non costituirebbe alcun comportamento illecito.

In ultima analisi, come lo stesso New York Times fa notare, il rischio è che diventi sostanzialmente impossibile camminare per strada senza essere riconosciuti. E l’effetto “Grande Fratello” è assicurato. Resta allora da chiedersi: il 1984, seppure in ritardo di quasi quarant’anni, è qui?

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