Uno sterminato labirinto, dove tutto si perde …

La penna felice di Carlo Levi, il grande scrittore di Cristo si è fermato a Eboli, in una pagina affascinante del suo capolavoro del 1950 L’Orologio: nel labirinto ministeriale si perdono le identità degli impiegati, ci si acquatta mimetizzandosi nei sottoscala, si diventa invisibili. L’amico impiegato, compagno fedele di passioni letterarie, scompare per sempre, come fosse inghiottito dal mostro burocratico.

Provate a fare una piccola osservazione, per esempio, a un usciere, per una mancanza in servizio. Egli vi guarderà dapprima quasi inorridito di stupore: voi, un novellino, avete dunque un simile coraggio? Di dove venite? Chi vi ha insegnato a vivere? Poi, dopo un silenzio minaccioso, senza rispondere  alla vostra osservazione, senza guardarvi, ma fissando dietro di voi un punto del muro, dirà: – Conosco degli impiegati che passano il loro tempo a telefonare alle loro amanti. Alle loro amanti! E altri che scrivono sulla carta intestata le loro lettere private. Conoscono anche quelli che tornano a uscire appena entrati, quelli che non vengono che il ventisette; e quelli che durante l’orario leggono i romanzi gialli. E so anche molte altre cose, se dovessi parlare –. Non dirà altro, e non vi darà più retta, e voi capirete che non potete uscire da quella macchina maligna di comune colpevolezza. Sul tavolo di ciascuno dei colleghi c’è un libro, un libro rilegato. È l’Annuario, dove ci sono tutti i dati degli impiegati, i loro nomi, titoli, funzioni, anzianità. Lo chiamano il «Bugiardello»: per un’ora cento mani lo sfogliano, cento occhi lo consultano ansiosamente: se quello parte, se quello muore, ci saranno dei movimenti. Tizio passa avanti, Caio scatta di grado, e io, io ho un avanzamento. Per un’altra ora non si parla d’altro, si commenta, si analizza: e l’analisi cresce e si complica e si propaga a tutti gli uffici, si diffonde per telefono alle sezioni staccate, si sparge per tutta Roma. Un ministro troppo giovane e zelante vorrebbe fare qualcosa? Le pratiche scompaiono: gli impiegati corrono ad avvertire i colleghi di altri Ministeri di bloccarle il passaggio, e tutto è inghiottito nelle sabbie mobili. È un immenso alveare, dove si distilla, a gran fatica, l’invidioso miele dell’ozio.  È uno sterminato labirinto dove tutto si perde, dove ti perdi anche materialmente, dove la gente scompare. Molti, i più abili, vi scompaiono volontariamente:  si rifugiano in un sottoscala, chissà, in un angolo morto, e nessuno li troverà mai più. Il mese scorso, andai un giorno al Viminale, a cercare un amico impiegato. Cleonte Massilli, lo conoscete? Anch’egli, come me, è poeta e, come me, burocrate onorario e parassita. Naturalmente non andavo per ragioni di ufficio, che non esistono, ma per parlare di letteratura. Ci andavo spesso, nella sua stanza, al numero duecentoventitré. Non c’era. Non c’era più. Nessuno sapeva dirmi dove si fosse trasferito. Rimasi tutto il giorno al Ministero, girando  tutte le scale, salendo e scendendo i vari piani, seguendo il filo dei minimi indizi. Dopo ore e ore di ricerca , mandato di qua e di là, giunsi infine a una stanza, nella quale c’era un pacco di libri legato con una cordicella, e sopra, scritto su un pezzo di carta, il suo nome: Cleonte Massilli. Era passato di lì il giorno prima, aveva lasciato quel pacco, ultimo suo segno di vita, come una bottiglia buttata in mare o il messaggio ambiguo di un Gordon Pym, prima di scomparire nell’abisso. Cleonte era scomparso, e non  l’ho mai più potuto trovare. Eppure so che è vivo, va tutte le mattine al Ministero, forse è nella stanza accanto.

Levi, L’orologio, Torino, Einaudi 1950 (qui ed. tascabile 1989, pp. 96-97).