La Corte di giustizia condanna la Polonia

Lo scorso 5 novembre, la Corte di giustizia ha accolto il ricorso per inadempimento proposto dalla Commissione europea contro la Polonia nella causa C-192/18.

Confermando le conclusioni dell’Avvocato Generale, la Corte ha definitivamente statuito che lo Stato polacco è venuto meno agli obblighi su di esso incombenti in forza dell’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, del Trattato sull’Unione europea, dell’articolo 157 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, nonché degli articoli 5, lettera a), e 9, paragrafo 1, lettera f), della direttiva 2006/54/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 luglio 2006, riguardante l’attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego.

Nel caso di specie, sono stati ritenuti illegittimi sia l’introduzione, mediante la nota legge polacca del 2017 recante modifiche alla disciplina sull’organizzazione dei tribunali ordinari e di talune altre leggi, di un’età per il pensionamento differente per le donne e per gli uomini appartenenti alla magistratura giudicante dei tribunali ordinari polacchi, della Corte Suprema polacca, o alla magistratura del pubblico ministero polacco, che il conferimento al Ministro della Giustizia del potere di autorizzare o meno la proroga dell’esercizio delle funzioni dei magistrati giudicanti dei tribunali ordinari polacchi al di là della nuova età per il pensionamento dei suddetti magistrati.

Con riguardo alla prima misura, la Corte ha osservato che, sebbene l’articolo 157, paragrafo 4, TFUE, autorizza gli Stati membri a mantenere o a adottare misure che prevedano vantaggi specifici, diretti a evitare o compensare svantaggi nelle carriere professionali, al fine di assicurare una piena uguaglianza tra uomini e donne nella vita professionale, non se ne può dedurre che questa disposizione consenta la fissazione di simili condizioni di età differenti a seconda del sesso. Infatti, i provvedimenti nazionali contemplati da tale disposizione devono, in ogni caso, contribuire ad aiutare la donna a vivere la propria vita lavorativa su un piano di parità rispetto all’uomo. La fissazione ai fini del pensionamento, di una condizione d’età diversa a seconda del sesso non è tale da compensare gli svantaggi ai quali sono esposte le carriere dei dipendenti pubblici di sesso femminile aiutando queste donne nella loro vita professionale e ponendo rimedio ai problemi che esse possono incontrare durante la loro carriera professionale.

Quanto alla seconda censura, la Corte ha affermato che il potere conferito al Ministro della Giustizia polacco è idoneo a suscitare legittimi dubbi, segnatamente nei singoli, quanto all’impermeabilità dei giudici interessati rispetto a elementi esterni e alla loro neutralità rispetto agli interessi che possano trovarsi contrapposti dinanzi ad essi. Inoltre, tale potere viola anche il principio di inamovibilità che è intrinsecamente connesso all’indipendenza giudiziaria. Peraltro, la combinazione di tale potere con l’abbassamento dell’età ordinaria per il pensionamento è tale da suscitare nei singoli dubbi legittimi quanto al fatto che il nuovo sistema fosse in realtà diretto a consentire al Ministro della Giustizia di escludere a propria discrezione taluni gruppi di giudici in servizio presso i tribunali ordinari polacchi una volta che avessero raggiunto l’età ordinaria per il pensionamento come fissata ex novo, mantenendo al contempo in servizio un’altra parte degli stessi.