Le conclusioni dell’Avvocato Generale della Corte di Giustizia nel caso Commissione/Polonia

Nella causa C-192/18 attualmente pendente innanzi alla Corte di Giustizia, la Commissione europea ha avviato una procedura d’infrazione nei confronti della Repubblica di Polonia ai sensi dell’articolo 258 TFUE per due motivi.

In primo luogo, la Commissione sostiene che, introducendo nell’articolo 13, punti da 1 a 3, della Legge recante modifica della legge sull’organizzazione dei tribunali ordinari e di talune altre leggi del 12 luglio 2017 un’età pensionabile dei giudici dei tribunali ordinari, dei pubblici ministeri e dei giudici della Corte suprema di 60 anni per le donne e di 65 anni per gli uomini, mentre essa era in precedenza di 67 anni per entrambi i sessi, la Polonia è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza dell’articolo 157 TFUE e degli articoli 5, lettera a) e 9, paragrafo 1, lettera f), della direttiva 2006/54/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 luglio 2000, riguardante l’attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego.

In secondo luogo, la Commissione sostiene che la Polonia è venuta meno ai suoi obblighi derivanti dall’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE in combinato disposto con l’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, abbassando, all’articolo 13, punto 1, della predetta legge, l’età pensionabile applicabile ai giudici dei tribunali ordinari e conferendo, al contempo, al Ministro della Giustizia il diritto di decidere in merito al prolungamento del periodo di servizio attivo di singoli giudici di tribunali ordinari ai sensi degli articoli 26 bis e 26 ter della medesima legge.

Nelle conclusioni pubblicate in data odierna, l’Avvocato generale della Corte Evgeni Tanchev ha suggerito l’integrale accoglimento dell’azione promossa dalla Commissione europea, chiedendo di dichiararsi che i) introducendo una differenziazione nell’età pensionabile di uomini e donne che svolgono la funzione di giudici, la Polonia è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza dell’articolo 157 TFUE nonché degli articoli 5, lettera a) e 9, paragrafo 1, lettera f), della direttiva 2006/54/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 luglio 2000, e ii) abbassando l’età pensionabile applicabile ai giudici dei tribunali ordinari e conferendo, al contempo, al Ministro della Giustizia il diritto di decidere in merito al prolungamento del periodo di servizio attivo di singoli giudici di tribunali ordinari ai sensi degli articoli 26 bis e 26 ter della medesima legge, la Polonia è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza dell’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE.

Con particolare riguardo alla seconda delle censure mosse dalla Commissione, l’Avvocato generale ha rammentato quella giurisprudenza della Corte secondo la quale l’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE tutela l’inamovibilità dei membri degli organi giurisdizionali. Esso fornisce garanzie essenziali all’indipendenza dei giudici; in particolare, l’inamovibilità e l’indipendenza sono strettamente connesse, in quanto l’indispensabile libertà da elementi esterni richiede talune garanzie idonee a tutelare la persona che svolge la funzione giurisdizionale, come, ad esempio, l’inamovibilità.

Nella sentenza Associação Sindical dos Juízes Portugueses e in altre pronunce, la Corte ha dichiarato che la garanzia di indipendenza è intrinseca alla funzione giurisdizionale. La nozione di indipendenza, tutelata dall’articolo 19, paragrafo 2 secondo comma, presuppone, in particolare, che l’organo di cui trattasi eserciti le sue funzioni giurisdizionali in piena autonomia, senza vincoli gerarchici o di subordinazione nei confronti di alcuno e senza ricevere ordini o istruzioni da alcuna fonte, e che esso sia quindi tutelato da interventi o pressioni dall’esterno idonei a compromettere l’indipendenza di giudizio dei suoi membri e ad influenzare le loro decisioni.

Nel caso polacco, la censura della Commissione in relazione ai giudici dei tribunali ordinari rientra nell’ambito di applicazione dell’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE, che dà espressione concreta allo Stato di diritto; quest’ultimo è, a sua volta, un valore fondante dell’Unione ai sensi dell’articolo 2 TUE. Nel caso di specie, la Commissione sostiene che abbassare l’età pensionabile dei giudici dei tribunali ordinari a 60 anni per le donne e 65 anni per gli uomini, attribuendo al contempo al Ministro della Giustizia il potere discrezionale di prorogare l’età per il pensionamento dei giudici interessati dalla legge di modifica del luglio 2017, non è compatibile con la tutela giurisdizionale effettiva garantita dall’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE, sebbene tale potere discrezionale sia sancito dalla legge sui tribunali ordinari. La disposizione in parola impone al ministro di prendere la decisione alla luce di una razionale assegnazione dei membri dei tribunali ordinari e delle esigenze legate al carico di lavoro di diversi tribunali. I giudici sono altresì tutelati, ai sensi del diritto polacco, tra l’altro, dalla conservazione dello status di giudice dopo il pensionamento e dalla segretezza delle deliberazioni.

A parere dell’Avvocato generale, la legge polacca del 2017 non garantisce l’inamovibilità dei giudici e la loro indipendenza, come tutelata dall’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE. Un obbligo previsto dalla legge nei confronti del ministro di effettuare una razionale assegnazione delle risorse dei tribunali ordinari, insieme alle esigenze legate al carico di lavoro e fattori come la segretezza delle deliberazioni dei giudici e le garanzie costituzionali polacche sull’età pensionabile, non sono sufficienti a proteggere da una rimozione di fatto dall’incarico dei giudici interessati. Lo Stato polacco non avrebbe inoltre fornito alcun motivo politico impellente o convincente per il trasferimento del potere di concedere proroghe dal Consiglio nazionale della magistratura al ministro, né è stata fornita una spiegazione adeguata in merito alla ragione per cui la rimozione dall’incarico di un giudice con un basso carico di lavoro, e non il suo trasferimento ad altro tribunale ordinario, fosse l’unica soluzione praticabile.

Per quanto riguarda il requisito dell’indipendenza, il regime della legge prevede il simultaneo trasferimento ad un membro dell’esecutivo, nel caso di specie addirittura il Ministro della Giustizia, delle decisioni in merito alla proroga del periodo di servizio attivo dei giudici e un abbassamento normativo dell’età per il pensionamento dei giudici. Le previsioni non sono compatibili con l’oggettivo elemento di imparzialità come tutelato dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo. Inoltre, la Corte di giustizia dell’Unione europea ha dichiarato che l’indipendenza e l’imparzialità «implicano l’esistenza di disposizioni, relative, in particolare, alla composizione dell’organo e alla nomina, durata delle funzioni, cause di astensione, di ricusazione e di revoca dei suoi membri, che consentano di fugare qualsiasi legittimo dubbio che i singoli possano nutrire in merito all’impermeabilità del detto organo rispetto a elementi esterni ed alla sua neutralità rispetto agli interessi contrapposti».

Nelle proprie conclusioni, l’Avvocato generale ha poi sottolineato che, nel delimitare l’ambito di applicazione dell’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE, sul piano istituzionale, è in gioco la misura in cui la Corte è competente a sostituirsi ai giudici costituzionali nazionali e alla Corte europea dei diritti dell’uomo nel pronunciarsi su violazioni di diritti fondamentali. A parere dell’Avvocato generale, l’ambito di applicazione materiale dell’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE si limita, nel contesto dell’inamovibilità e dell’indipendenza dei giudici, a correggere problemi relativi alla strutturale inidoneità di un dato Stato membro; ciò è quanto avverrebbe nel caso di specie, dal momento che le leggi contestate dalla Commissione si ripercuotono su interi livelli del potere giudiziario. Queste potrebbero essere meglio definite come carenze sistemiche o generalizzate, che «pregiudicano il contenuto essenziale» dell’inamovibilità e dell’indipendenza dei giudici. Viceversa, casi singoli o specifici di violazione dell’inamovibilità dei giudici devono essere disciplinati dall’articolo 47 della Carta e solo in un contesto ove uno Stato membro stia attuando il diritto dell’Unione a norma dell’articolo 51, paragrafo 1, della Carta. In via di principio, infine, un vizio strutturale che comporti in aggiunta un’attuazione del diritto dell’Unione da parte degli Stati membri ricadrà nell’ambito di entrambe le disposizioni.