Procedimento amministrativo e decisione amministrativa robotizzata: gli orientamenti della giurisprudenza amministrativa

Nel post si dà conto delle posizioni che sono state assunte dalla giurisprudenza amministrativa italiana sul tema del cd. atto amministrativo robotizzato. Si evidenziano le differenze tra gli orientamenti espressi dai TAR e dal Consiglio di Stato.

Da qualche tempo, il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca gestisce i trasferimenti interprovinciali del personale docente attraverso un complesso programma di software, facendo applicazione dell’analisi algoritmica.

All’esito dei trasferimenti disposti attraverso l’utilizzo di questo strumento, alcuni dei docenti interessati dalla procedura hanno impugnato le decisioni assunte dall’algoritmo, lamentando, tra le altre cose, l’opacità delle scelte operate dal Ministero (dovuta all’impossibilità di conoscere il funzionamento dell’algoritmo, oltre che all’adozione di provvedimenti privi di motivazione).

La giurisprudenza amministrativa nazionale è stata dunque costretta via via a confrontarsi col cd. atto amministrativo automatizzato.

I Tribunali amministrativi regionali si sono mostrati restii a riconoscere la compatibilità dell’algoritmo col potere amministrativo: in particolare, essi hanno più volte affermato che l’attività impersonale svolta in applicazione di regole o procedure informatiche o matematiche non può soppiantare ingiustificatamente l’attività umana, posto che mortifica e comprime gli istituti di relazione del privato con i pubblici poteri.

La giurisprudenza di primo grado ritiene, in dettaglio, che siffatte procedure vulnerino l’obbligo di motivazione delle decisioni amministrative, con il risultato di una frustrazione anche del diritto di difesa, che risulta senz’altro compromesso tutte le volte in cui l’interessato (e successivamente, su impulso di questi, il Giudice) non riesca a percepire l’iter logico – giuridico che l’amministrazione ha seguito nell’assumere una determinata scelta (cfr. TAR Lazio, sez. III-bis, sentt. n. 10964/2019; n. 5139/2019; n. 6688/2019; n. 10963/2019; nn. 9224, 9225, 9226, 9227, 9228, 9229, 9230 del 2018; n. 8902/2018).

In altre parole, essa reputa che le procedure informatiche, finanche ove pervengano al maggior grado di precisione e addirittura alla perfezione, non possano mai sostituire davvero appieno l’attività cognitiva, acquisitiva e di giudizio che solo un’istruttoria affidata ad un funzionario persona fisica è in grado di svolgere.

Le decisioni sembrano invero tenere conto di quanto disposto dall’art. 22 del Regolamento generale sulla protezione dei dati (UE/2016/679), a mente del quale “[l]’interessato ha il diritto di non essere sottoposto a una decisione basata unicamente sul trattamento automatizzato, compresa la profilazione, che produca effetti giuridici che lo riguardano o che incida in modo analogo significativamente sulla sua persona”.

Di diverso avviso, la giurisprudenza amministrativa nazionale di secondo grado, la quale ha rilevato che l’utilizzo di strumenti informatici rappresenta un’attività non solo lecita, ma addirittura desiderabile e incoraggiabile. In particolare, essa, riferendosi specificamente al caso di decisioni amministrative frutto di operazioni meccaniche e prive di discrezionalità, ha rilevato che l’impiego di strumenti di questo tipo garantisce il rispetto dei principi di efficienza e di imparzialità dell’Amministrazione Pubblica, oltre che una migliore qualità dei servizi resi ai cittadini e agli utenti: essa, comportando una notevole riduzione della tempistica procedimentali, assicura l’esclusione di interferenze dovute a negligenza (o peggio dolo) del funzionario essere umano (cfr. Cons. Stato, sez. VI, sent. n. 2270/2019).

Di recente la giurisprudenza del Consiglio di Stato sembra avere riconosciuto la utilizzabilità dell’algoritmo anche in casi in cui il potere amministrativo da esercitare sia di tipo discrezionale (e manchi, dunque, la ripetitività e la meccanicità delle operazioni: cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, sentt. 8472, 8473, 8474 del 2019).

In particolare, essa ha rilevato che non vi sono ragioni di principio, ovvero concrete, per limitare l’utilizzo all’attività amministrativa vincolata piuttosto che discrezionale, entrambe espressione di attività autoritativa svolta nel perseguimento del pubblico interesse. In particolare, il Collegio ritiene che anche l’esercizio di attività discrezionale può in astratto beneficiare delle efficienze e, più in generale, dei vantaggi offerti dagli strumenti stessi

L’asserzione suscita delle perplessità, posto che non è del tutto chiaro in che termini sia possibile tradurre in linguaggio informatico le espressioni del lessico giuridico che sono connotate da inevitabile incertezza interpretativa.

Occorre ad ogni modo precisare che i giudici di Palazzo Spada hanno via via precisato che la possibilità di utilizzare sistemi informatici all’interno di un procedimento amministrativo è subordinato al rispetto di talune condizioni.

Ad esempio, è necessario che l’algoritmo:

  1. sia reso conoscibile a chiunque vi abbia interesse (cfr. a questo proposito, la decisione assunta dalla sez. III-bis del TAR Lazio nel marzo del 2017 -sent. n. 3769, 3742-: in quell’occasione, il Tribunale aveva riconosciuto la legittimazione ad accedere ai cd. codici sorgenti; nello stesso senso, di recente, Cons. St., sez. VI, sent. n. 30/2020);
  2. sia sindacabile da parte del giudice amministrativo, posto che solo in questo modo sarà possibile esprimere, anche in sede giurisdizionale, una valutazione sulla legittimità della decisione assunta attraverso una procedura informatica.

In altri termini, si deve evitare che l’utilizzo di strumenti informatici possa condurre a un arretramento delle garanzie dei cittadini al cospetto dei pubblici poteri.

In conclusione, si evidenzia che la più recente giurisprudenza del Consiglio di Stato, oltre ad avere riconosciuto l’utilizzabilità dell’algoritmo in costanza di poteri discrezionali, ha contestualmente affermato che, in applicazione dell’art. 22 del regolamento generale sulla protezione dei dati, nel processo decisionale automatizzato deve comunque esistere un contributo umano che sia capace di controllare, validare ovvero smentire la decisione automatica (cd. principio di non esclusività della decisione algoritmica).

In tal senso, sembra dunque che i giudici di secondo grado abbiano temperato la posizione assunta inizialmente sul tema, convenendo, per certi, versi, con quanto affermato in precedenza dai Tribunali amministrativi regionali.

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