Piccole miserie burocratiche in un ufficio dello Stato: l’Incendio al Catasto di Carlo Montella

Incendio al Catasto, è un romanzo pubblicato nel 1956 dallo scrittore Carlo Montella (Napoli, 1922-Pisa, 2010). Racconta in circa 400 pagine la storia di un ufficio del Catasto in una qualunque provincia italiana (forse Pisa?) ai tempi del regime fascista. Gli ambienti, gli impiegati dall’umile usciere al capo ufficio, la routine quotidiana del viaggio delle carte sulle scrivanie, le storie personali di ciascuno, persino gli odori del cibo che salgono nell’antico palazzo dalle cucine di una trattoria sottostante: gruppo di burocrati in un interno, si potrebbe intitolare il libro. Ne viene infatti un quadro vivo, a tratti anche coinvolgente per il lettore, delle miserie umane, delle piccole ambizioni e dei tic, delle depressioni anche di chi in nulla può più sperare se non un piccolo aumento dello stipendio: è la storia eterna di Monsù Travet (la commedia di Vittorio Bersezio messa in scena a Torino nel 1863), si ripete pari pari nello scenario guerresco e volitivo del fascismo al potere, ma di quello scenario “eroico” (in realtà di cartapesta) non riflette alcunché. È la storia antica, invece, della piccola borghesia burocratica china a copiare gli atti, inchiostro e calamaio. Tutto procede come sempre, tra gli amorazzi del capo ufficio con la sua segretaria, gli scherzi atroci a danno del compagno di stanza assunto come bersaglio, i ricordi dei più anziani che rammentano ancora “le campagne” esterne, sul territorio, per censire meticolosamente misure e beni. Sino a che, mentre è in corso un trasferimento dell’intero ufficio da qualche altra parte, come fosse la catarsi finale, non scoppia un devastante incendio, che tutto repentinamente distrugge e cancella.

Al fuoco! Al fuoco! – gridarono i facchini abbandonando tutto quello che avevano in mano e precipitandosi giù per le scale. A quel grido gli impiegati che si trovavano nelle stanze fecero per accorrere ma, appena affacciatisi nel corridoio, il fumo li ricacciò indietro soffocandoli, ed essi si rifugiarono tutti insieme in segreteria. Sorpresi così da quel che accadeva, si sarebbe detto che non capissero la gravità della situazione e si esortavano l’un l’altro a cercare qualche barattolo, per gettare acqua sul fuoco. (…) Fin quando a un tratto Mariotti lanciò un urlo: – I cottimi! –. E come un pazzo si slanciò fuori della stanza scomparendo nel fumo e  nelle scintille. Nelle casse, infatti, con tutte le migliaia di pacchi dei modelli, v’erano anche quelli del cottimo che ancora non era stato pagato dalla Direzione Generale. Gli impiegati si guardarono l’un l’altro stravolti, come rendendosi conto solo in quel momento di ciò che accadeva e si precipitarono fuori nel corridoio senza sapere essi stessi se volessero cercar di salvare i cottimi o fermare Mariotti nella sua follìa. Nel turbinio di fumo nero e rovente del corridoio, brancolando accecati e mezzo asfissiati, essi inciamparono nel corpo di Mariotti. (…) – I cottimi…–,  rantolava Mariotti, che cominciava appena a riprendersi e pareva, reso pazzo da quell’idea, volersi slanciare di nuova tra le fiamme.  – I cottimi…I cottimi…– E tutti fissavano inebetiti quell’uscio, al di là del quale, come un tesoro condannato alla distruzione, brulicavano i modelli con le migliaia di numeri copiati la notte, sul tavolo di casa; bruciava tutto il lavoro di vent’anni, e con esso pareva dissolversi in una nuvola di fumo anche la traccia umana degli impiegati che vi avevano speso l’esistenza.

 

Carlo Montella, Incendio al Catasto, Firenze, Vallecchi, 1956, pp. 405-407.