Matteotti: il Parlamento e lo “Stato degli avvocati” non sono adatti alle nuove funzioni del dopoguerra

Giacomo Matteotti (Fratta Polesine, Rovigo 1885- Roma 1924) fu tra i leaders del Partito socialista nel primo dopoguerra, e poi, dopo la scissione del 1922, divenne il segretario del Partito socialista. Eletto deputato nel 1919, fu rieletto nella legislatura successiva, apertasi nel 1924 (quella stessa della legge Acerbo, grazie alla quale prevalse il listone fascista). Antifascista coraggioso e tenace, fu avversario implacabile del nascente regime mussoliniano, le cui violenze e illegalità denunciò ripetutamente in Parlamento e sulla stampa. Aggredito e rapito il 10 giugno 1924 da un manipolo di squadristi (la cosiddetta “Ceka” fascista), il suo cadavere sarebbe stato ritrovato solo un mese dopo alla periferia di Roma, in una fossa  malamente scavata in una fitta boscaglia. Per il fascismo ne venne una crisi gravissima, segnata dalla secessione parlamentare detta dell’Aventino. Crisi tuttavia dalla quale Mussolini sarebbe uscito nel 1925 grazie alla complicità del re Vittorio Emanuele III, annunziando in un celebre e minaccioso discorso l’avvento definitivo della dittatura.

In queste righe del marzo 1922 (circa sette mesi prima della marcia su Roma), Matteotti affrontava il tema cruciale della crisi dei parlamenti del dopoguerra, per poi analizzare acutamente come lo Stato liberale non avesse al suo interno le capacità e le risorse politiche e culturali per corrispondere alla crescita delle funzioni che la guerra mondiale aveva conferito agli apparati pubblici.

Io non so se il rimedio possa essere quello di trasportare nella quiete delle Commissioni tutto il lavoro di legislazione e di controllo, lasciando alla Camera le sole grandi discussioni generali (…). Certo la Camera com’è oggi non è più adatta a compiere la sua funzione. Ma non tanto per colpa sua. La Camera riflette come uno specchio il difetto di capacità e di produttività del Paese (…). La realtà maggiore (accanto a quella di una accresciuta ignoranza degli uomini e di una minore capacità di sforzo e di studio dopo la guerra) è che ormai agli Enti pubblici, e allo Stato in particolare, oggi arriva una più enorme quantità di funzioni e di attribuzioni economiche, culturali, morali ecc., le quali domandano di essere coordinate, regolate, distribuite: appunto così come ormai gli interessi nazionali divengono ogni giorno più internazionali o bisognosi di essere discussi e accordati internazionalmente. Ora non è, come alcuno pretende, che lo Stato non possa e non debba, in teoria, assumere quelle funzioni; è che l’antico ordinamento e i vecchi organi dello Stato, altrimenti abituati, non sono capaci di comprenderle e di regolarle. Tra essi, in prima linea, molti dei più alti burocrati e dei deputati, avvocati nella massima parte, mancanti di cultura tecnica; e quindi i Ministri, che assumono i Dicasteri delle Comunicazioni, dei Lavori, della Guerra ecc. con la stessa leggerezza con la quale assumerebbero la difesa di una causa in Tribunale.

Giacomo Matteotti, La discussione dei bilanci alla Camera. Un’altra illusione, in “Critica sociale”, XXII, n. 6, 16-31 marzo 1922, p. 86.