Mario Bracci, 1946: i “no” preconcetti della Ragioneria generale dello Stato

Mario Bracci (Siena, 1900-1959) è stato uno dei più importanti giuristi italiani del Novecento. Docente di diritto costituzionale da giovane vincitore di cattedra a Sassari, poi per un’intera vita di diritto amministrativo a Siena (università della quale fu anche più tardi rettore), scrisse opere rilevanti, tra le quali si cita qui solo la prima, importante monografia sull’Atto complesso in diritto amministrativo del 1927. Caduto il fascismo, aderì nel 1944 al Partito d’azione, facendo parte della Consulta nazionale e poi del primo dei governi De Gasperi (1945-46), del quale fu ministro del Commercio con l’estero. Nel periodo del referendum istituzionale concorse fattivamente con il suo consiglio giuridico a sciogliere il nodo della transizione attraverso la soluzione di conferire al presidente del Consiglio in carica (De Gasperi) l’esercizio delle funzioni del presidente della Repubblica (che doveva ancora essere eletto). Scioltosi nel 1947 il Partito d’azione, aderì al Partito socialista. Nel 1955 fu eletto dal Parlamento membro della Corte costituzionale appena formata (tra l’altro si deve a lui la foggia “alla senese” della toga che ancora oggi indossano i giudici della Corte). In questo brano, tratto da una risposta alle domande proposte dalla rivista di Piero Calamandrei “Il Ponte”, si affronta tra le altre cose il tema – non nuovo – del formalismo dei controlli in capo alla Ragioneria generale dello Stato.

Ogni atto legislativo o amministrativo che non sia l’ordine di esporre una bandiera o l’invito a una colazione ufficiale, va alla ragioneria e là si ferma; e dopo essersi riposato mesi e mesi torna indietro con un bel “no”. È una questione di principio: a prima volta rispondono sempre “no” a tutti, compreso il ministro del tesoro, dal quale la ragioneria generale formalmente dipende. Ora, scherzi a parte, il lento e spesso arbitrario funzionamento di questo mastodontico organismo, in gran parte duplicato della Corte dei conti, antiquatamente burocratico e che tuttavia controlla rigidamente tutta l’attività dello Stato, è una delle principali cause dei ritardi e degli sfasamenti della produzione legislativa e dell’azione di governo, generalmente lamentati e deplorati.

Mario Bracci, Perché i Ministeri non funzionano?, in “Il Ponte”, gennaio 1947, pp. 30-40, ora in Id., Testimonianze del proprio tempo. Meditazioni, lettere, scritti politici (1943-1958),  a cura di E. Balocchi e G. Grottanelli de’Santi, introduzione di R. Vivarelli, Firenze, La Nuova Italia, 1981, pp. 221-230. La cit. è alle pp. 223-224.