Manin Carabba: ascesa e crisi della politica di programmazione democratica

Manin Carabba (1937-2022), laureato in giurisprudenza, rivestì il ruolo di funzionario presso l’Ufficio studi legislativi dell’ENI (1961-1967) e di esperto presso l’Ufficio del Programma del Ministero del bilancio (1964-1967), prima di diventare ricercatore (1968-1971) e poi direttore (1971-1977) dell’Istituto di Studi per la Programmazione Economica (ISPE).

Consigliere della Corte dei conti dal 1977, nel 1980 avrebbe assunto per la prima volta il ruolo di capo dell’Ufficio legislativo, assistendo l’allora ministro del Mezzogiorno Nicola Capria (Psi), che avrebbe seguito, con il ruolo di capo di gabinetto, anche al Ministero del commercio estero (1981-1985). L’ultima esperienza negli uffici di diretta collaborazione fu quella al Ministero dell’ambiente, dove svolse fra 1987 e 1990 la funzione di capo di Gabinetto del ministro Giorgio Ruffolo (Psi). Responsabile del Servizio relazioni al Parlamento, e relatore per il giudizio e la relazione sul rendiconto generale dello Stato dal 1990 fino al collocamento a riposo, nel 2004, con il conferimento del titolo di presidente onorario della Corte dei conti, Carabba assunse in seguito la direzione della Rivista giuridica del mezzogiorno e il ruolo di consigliere del Cnel (2010-2015), continuando l’attività pubblicistica e di insegnamento universitario portata avanti anche nel corso degli anni precedenti. La sua testimonianza è tratta dalla intervista che rilasciò a me e a Alessandro Natalini il 28 marzo 2014, nell’ambito della ricerca da noi condotta sugli uffici di diretta collaborazione negli anni 2016-2018. Carabba in questo passaggio prende le mosse dalla sua prima esperienza, nello staff di Antonio Giolitti, ministro del Bilancio socialista nel primo governo Moro (1963-64) e poi rievoca la sua esperienza successiva negli anni Settanta. La grande speranza di una politica nuova, basata sulla programmazione, progressivamente si spense.

 

Eravamo isolati nel mondo della burocrazia: ad esempio il tentativo di Giolitti di ripresentare il disegno di legge per portare la Ragioneria sotto il controllo del Ministero del Bilancio incontrò forti opposizioni. I nostri unici interlocutori erano figure vicine al nostro approccio, come Vincenzo Scotti, Sergio Zoppi, Giovanni Marongiu e Massimo Annesi, che costituivano lo staff del ministro per gli Interventi straordinari nel Mezzogiorno Giulio Pastore. Giorgio Ruffolo, che era un po’ il nostro capo, aveva un ottimo rapporto con Saraceno. Io ed altri esponenti junior eravamo più legati a Fuà e Sylos Labini (autori di quella che, rispetto al Rapporto Saraceno, si configurò come una relazione di minoranza, poi pubblicata in un volumetto a sé stante da Laterza)[1]. Pur riconoscendo in Saraceno un maestro, un punto di riferimento, come poco più tardi, quando sarebbe entrato nel comitato scientifico della programmazione, intrecciammo un dialogo con Beniamino Andreatta.

Tutto ciò è stato raccontato molto bene da Lei nel volume Un ventennio di programmazione[2], nel quale queste vicende sono ricostruite anche con un taglio storiografico; finita questa breve esperienza andò all’Istituto di studi per la programmazione economica?

No, dopo l’esperienza nella segreteria tecnica di Giolitti ho lavorato presso l’Ufficio del programma, in quel frangente diretto da Ruffolo, come responsabile dei profili istituzionali: ho mantenuto questo incarico fino all’istituzione, nel 1969, dell’Istituto di studi per la programmazione economica (ISPE) che de facto costituì la continuazione dell’Ufficio del programma e nacque per l’opposizione, da parte della burocrazia, all’ingresso mio e degli altri del gruppo nell’amministrazione come direttori generali in quanto troppo giovani e apertamente schierati a sinistra.

Come nacquero i rapporti con il Psi e come si intrecciò l’esperienza della programmazione con quella politica?

Lasciato il Ministero del bilancio, per fedeltà alla linea di Riccardo Lombardi, Giolitti divenne responsabile della sezione economica del Psi e dopo un paio di anni lo affiancai come vice, anche se non accettai mai di svolgere il classico ruolo di funzionario di partito. La sezione economica si riuniva due volte alla settimana e vedeva anche la partecipazione dei ministri: all’epoca infatti i partiti esistevano, erano attori importanti: il primato della politica era pienamente riconosciuto, la discussione in seno al partito era tenuta in considerazione dagli esponenti al governo.

 

Come avvenne poi il suo passaggio dall’ISPE alla Corte dei conti?

Nel contesto della formazione nel 1974 del governo Moro IV (il governo Moro-La Malfa) e dell’apertura della stagione della solidarietà nazionale, i socialisti persero quasi del tutto la loro influenza: ciò significò anche l’abbandono della politica della programmazione (l’incontro fra Dc e Pci poteva avvenire, d’altra parte, solo su questioni settoriali e non su un piano generale: nel 1980 presi di mira, con un articolo apparso su «Il Mulino», le programmazioni settoriali, sottoponendo a critica severa le leggi di settore varate nel periodo della solidarietà nazionale)[3].

Nelle riunioni mensili con l’allora ministro del Bilancio e della programmazione economica Giulio Andreotti, che presiedeva l’ISPE, alla mia richiesta di direttive ricevevo come risposta solo la constatazione della fine del ciclo della programmazione, alla quale si associava l’invito a decidere in piena autonomia gli studi da realizzare. Nel 1977, grazie non al partito – visto che la segreteria Craxi ignorava gli uomini della programmazione – ma a Tommaso Morlino, un amico divenuto l’anno precedente ministro del Bilancio e della programmazione economica, lasciai l’ISPE ed entrai alla Corte dei conti.

 

L’intervista fa parte di una più vasta ricerca condotta da me e da Alessandro Natalini sugli uffici di diretta collaborazione dei ministeri e della Presidenza del consiglio. I risultati sono raccolti nel sito https://icar.cultura.gov.it.

[1] G. Fuà, P. Sylos Labini, Idee per la programmazione economica, Bari, Laterza, 1963.

[2] M. Carabba, Un ventennio di programmazione 1954-1974, Roma-Bari, Laterza, 1977.

[3] M. Carabba, Programmazione per settori e sistema politico, in «Il Mulino», 1980, n. 1, pp.53-73.