L’ereditarietà degli impieghi nell’Ottocento

Giorgio Asproni (Bitti, 1808-Roma, 1876) fu a lungo deputato prima del Regno di Sardegna poi dell’Italia unita, patriota fervente, repubblicano sodale di Mazzini, Cattaneo e Garibaldi, attore e spettatore insieme dei principali eventi del Risorgimento sino alla morte, sopravvenuta proprio quando la Destra storica (sua acerrima avversaria in Parlamento) dovette lasciare il campo alla Sinistra di Depretis.

Oltre ai numerosissimi discorsi alla Camera (sta per uscire la raccolta, a cura di Guido Melis), ha lasciato un imponente Diario politico 1855-1876 in sette volumi, pubblicato a cura della Facoltà di scienze politiche di Cagliari tra il 1974 e il 1991.

Qui se ne riposta un piccolo brano, nel quale l’autore coglie i difetti originari del modello burocratico piemontese che si sarebbe poi riverberato nella burocrazia italiana di ieri e, forse, in parte di oggi.

Il deputato Galeotti mi diceva oggi che al Ministro Corsi si è presentato un impiegato piemontese dicendogli che suo nonno fu impiegato, impiegato il babbo, impiegato egli, impiegati altri suoi quattro figli, e che perciò aveva diritto di impiegare il suo quinto figliuolo. Abolito il feudalismo dei nobili abbiamo il feudalismo della burocrazia“.

Giorgio Asproni, Diario politico 1855-1876, II. 1858-1860, Milano, Giuffrè, 1976, p. 473 (alla data del 20 giugno 1860).