La via italiana alla regolazione della finanza tecnologica. Prime riflessioni sul “decreto FinTech”

Dando seguito alla misure previste nel “decreto legge crescita”, il Ministero dell’economia e delle finanze ha recentemente predisposto un decreto regolamentare, avente a oggetto l’istituzione del Comitato FinTech, composto dalle autorità e amministrazioni competenti in materia, e la definizione delle regole della sperimentazione controllata per i prodotti finanziari e assicurativi ad alto contenuto tecnologico. Si tratta di un’iniziativa di grande interesse, che costituisce il primo tentativo italiano di convogliare gli sforzi regolatori verso lo sviluppo controllato del settore della finanza tecnologica.

Lo sviluppo, sempre più rapido, di nuove tecnologie, volte a offrire al pubblico servizi finanziari e assicurativi tecnologici, pone delle sfide notevoli non solo per gli operatori di mercato, chiamati ad aggiornare il proprio business per non restare indietro rispetto ai concorrenti, ma altresì per le istituzioni politiche e alle amministrazioni nazionali. A queste ultime, infatti, è rivolta la richiesta di incentivare l’innovazione, garantendo, al contempo, che essa non produca effetti pregiudizievoli per i consumatori, anche sotto il piano della gestione dei loro dati, nonché per i mercati, quanto alla loro reale contendibilità.

Tra gli strumenti che, da alcuni anni, vengono comunemente indicati come utili per affrontare, in senso pro-attivo, la sfida della regolazione del FinTech, un peso particolare è stato assunto dai c.d. “facilitatori dell’innovazione”, declinati specialmente nelle forme della regulatory sandbox e/o dell’innovation hub. Entrambi i meccanismi, in effetti, appaiono adatti a convogliare nella stessa direzione gli sforzi delle istituzioni pubbliche (soprattutto delle autorità di vigilanza) e delle imprese, con il fine di testare le proposte tecnologiche e finanziarie dei privati e di assicurare un sviluppo tecnologico il più possibile monitorato e concertato. Con la regulatory sandbox, si determina, in particolare, l’istituzione di un “ambiente protetto”, entro cui permettere ai soggetti vigilati di sperimentare i propri prodotti innovativi, in cambio della concessione di alcune deroghe normative transitorie rispetto alla disciplina applicabile comunemente al tipo di attività intrapresa. Con l’innovation hub, invece, si dà vita a un luogo di incontro istituzionale tra autorità e soggetti privati, anche non vigilati, per offrire loro chiarimenti e indirizzi.

Dopo alcuni interessanti esperimenti seminali, condotti a livello nazionale, e a fronte di una certa enfasi espressa a livello internazionale, anche in Italia si è giunti ad articolare un primo tentativo di sperimentazione in ambito FinTech.

L’art. 36 del d.l. n. 34/2019 (c.d. “decreto legge crescita”), come modificato dalla l. di conversione n. 58/2019, ha previsto, al comma 2-bis, l’adozione di uno o più regolamenti del Ministero dell’economia e delle finanze, sentiti la Banca d’Italia, la Consob e l’Ivass, per la disciplina delle condizioni e modalità di svolgimento di una sperimentazione relativa alle attività FinTech orientate al perseguimento, mediante nuove tecnologie, dell’innovazione di servizi e di prodotti nei settori finanziario, creditizio, assicurativo. Il comma 2-octies dello stesso decreto ha inoltre disposto la formalizzazione, presso il Ministero dell’economia e delle finanze, di un apposito Comitato FinTech, il quale avrà il compito di individuare gli obiettivi, definire i programmi e porre in essere le azioni per favorire lo sviluppo della tecno-finanza, nonché di formulare proposte di carattere normativo e agevolare il contatto degli operatori del settore con le istituzioni e con le autorità.

Lo scorso febbraio, il Ministero dell’economia e delle finanze ha quindi pubblicato lo schema di decreto regolamentare relativo all’istituzione del Comitato FinTech e alla definizione delle regole della sperimentazione controllata per i prodotti finanziari e assicurativi ad alto contenuto tecnologico.

Per quanto il provvedimento in questione, una volta esaurita la fase della consultazione pubblica, debba ancora passare al vaglio della sezione consultiva del Consiglio di Stato, è già possibile individuarne alcune caratteristiche essenziali, a partire dalle quali si può tentare di scorgere, più ampiamente, alcuni tratti della “via italiana” alla regolazione del FinTech, con le sue potenzialità e le inevitabili incognite.

In questo senso, si possono anticipare tre aspetti rilevanti. Il primo sullo “stile” del decreto regolamentare; il secondo sul ruolo istituzionale del Comitato FinTech; il terzo sui i profili funzionali e procedimentali della sperimentazione FinTech e sui relativi compiti delle autorità di vigilanza.

Sullo “stile”, vale la pena evidenziare subito che la scelta effettuata è stata quella di non prevedere una serie di regole ampie, facendo leva sulle normative di settore delle varie autorità, ma di costruire una disciplina estremamente minuziosa, soprattutto del procedimento da adottare per svolgere la sperimentazione di attività tecnologicamente innovative. Ne è risultato un testo molto denso e, in alcuni passaggi, particolarmente tecnico, che evidentemente ambisce a delineare già, “a monte”, non solo il funzionamento della sperimentazione, ma anche le stesse modalità di interazione tra le varie autorità, in un’ottica di attenta formalizzazione anche del rapporto tra esse. L’avvio delle sperimentazioni permetterà di capire quanto la disciplina sarà in grado di contemperare l’obiettivo di fornire un quadro procedimentale certo con quello di incentivare e di semplificare le iniziative dei privati. Non vi è dubbio, a ogni modo, che per il successo delle sperimentazioni sarà centrale l’attività di coordinamento amministrativo dei regolatori e quella informativa, svolta anche dal Comitato FinTech, a favore degli operatori di mercato.

Proprio quanto al Comitato FinTech, è interessante notare come il regolamento, leggendo nel senso più estensivo la norma primaria, abbia inteso assegnare a quest’organo il ruolo di vero interprete delle esigenze del FinTech in Italia, affidandogli dei compiti di collegamento tra istituzioni e mercato molto significativi. La speranza, pure considerando lo stile del decreto, di cui si è detto, è dunque che il Comitato possa operare in modo agile, non replicando i difetti di molti strumenti di raccordo tra amministrazioni, spesso “ingessati” da posizioni divergenti di queste ultime o da interpretazioni formalistiche del dato normativo.

È opportuno poi segnalare che, in modo differente rispetto a quanto fatto in altri ordinamenti, la sperimentazione in Italia è destinata teoricamente a operare altresì per attività cross-sector,   e può arrivare a includere, in talune ipotesi, prodotti proposti sul mercato da soggetti non ancora vigilati. Si scorge qui la giusta ambizione di intercettare anche imprese piccole, non ancora oggetto di vigilanza, ma attive nel vasto mondo del FinTech e l’altrettanto corretta volontà di utilizzare il Comitato FinTech come un volano per l’emersione dell’universo, in parte ancora pulviscolare, della finanza tecnologica.

Va da ultimo aggiunto che, in ogni caso, molte delle regole che il decreto crescita inserisce tra quelle derogabili temporalmente, per consentire di testare prodotti innovativi, sono, in realtà, imposte direttamente da norme primarie, anche europee e dunque all’applicazione di esse non si  potrà rinunciare con una decisione delle autorità amministrative di vigilanza.

Da qui la sfida per i regolatori, i quali dovranno essere in grado, nei limiti loro consentiti, di sfruttare al meglio le regole sulla sperimentazione e i propri poteri per consentire alle imprese, sempre senza mettere a rischio i consumatori, di avere un “campo di gioco” delle proprie iniziative tecnologicamente all’avanguardia non meramente simbolico.

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