La Ragioneria generale e le esigenze “industriali” dell’economia di guerra

Silvio Crespi (1868-1944), industriale cotoniero di spicco ma anche presidente di istituti bancari e infaticabile ideatore e promotore di opere pubbliche (come l’Autodromo di Monza nel 1922 o l’Autostrada Milano-Laghi nel 1925), fu durante la prima guerra mondiale prima sottosegretario agli Approvvigionamenti e poi, innalzato il sottosegretariato al rango di Ministero autonomo e fuso coi consumi alimentari, ministro del governo Orlando nei giorni critici del dopo Caporetto e della prima economia di pace (1918-19). Partecipò a Parigi alla firma del Trattato di pace. In questa pagina delle sue memorie, tratte da un “libriccino” ove annotava i fatti salienti di quei giorni, Crespi manifesta la sua insofferenza per la contabilità di Stato e per la burocrazia, antitesi nefasta – si capisce dalle sue parole – di quella che avrebbe dovuta essere la conduzione “industriale” del suo ministero.

 

26 giugno 1918. Arrivo a Roma. Da giorni discuto con Nitti e con la ragioneria generale la situazione della contabilità del mio dicastero, che è stata impiantata dal signor Arturo Lecchi, già capo contabile della mia ditta, e che è tenuta in partita doppia. Mi hanno dichiarato che tutto ciò è contrario alla legge. La contabilità di un ministero deve essere diretta da un funzionario di carriera, proveniente dalla ragioneria generale; e deve essere  tenuta secondo le norme speciali della ragioneria di Stato.

Avevo da tempo acceduto alla prima richiesta del ministro del Tesoro, il quale mi fece tenere dalla ragioneria generale una lista di 12 possibili capi contabili, in ordine di anzianità. Mi affrettai a chiedere le necessarie informazioni, specie allo scopo di determinare la capacità di ciascun eventuale aspirante a tenere la contabilità di una colossale azienda commerciale qual è il ministero degli approvvigionamenti e consumi, in cui ogni partita deve essere costantemente tenuta a giorno. Le informazioni e le trattative le feci dirigere dal comm. Giordani, ex prefetto, ora mio direttore amministrativo. Ne risultò che il primo in lista, giudicato idoneo, rifiutò l’incarico, perché impressionato  da un lavoro assolutamente nuovo per lui. Il secondo era di cagionevole salute e quindi inadatto a un lavoro intenso, quale io dovevo esigere.  E tutti gli altri furono giudicati incapaci, fino all’ottavo in lista, il comm. Balsamo. Perciò scelsi il comm. Balsamo; scrissi al ministro del tesoro e questi mie lo inviò, cosicché io lo insediai subito in ufficio, mettendo d’accordo col Lecchi.

Dopo parecchi giorni i ministro del tesoro mi scrisse pregandomi di revocare il Balsamo, per nominare uno più anziano di lui. Risposi  chiarendo come si era addivenuti alla nomina e ricordando che la nomina stessa  era stata implicitamente approvata dal ministero del tesoro, perché mi aveva mandato il Balsamo in ufficio.

Ne venne una vivace corrispondenza e vivaci battibecchi tra me e Nitti. Io tenni duro e Nitti pure.

Ma il Balsamo continuò il suo ufficio e studiò con ogni cura come adattare la contabilità alle regole ed ai formulari degli altri dicasteri. Si fecero delle prove; io non ci capisco niente e ordinai che si continuasse a tenere i registri in partita doppia. Nitti lo seppe e mi mandò un’ispezione .

L’ispettore trovò tutto chiaro e ordinatissimo e tutte le partire perfettamente aggiornate. Mi fece molti complimenti ma naturalmente dichiarò al suo mandante che non ero in regola coi sistemi in uso presso tutti gli altri ministeri. Nitti mi fece ieri intimare che tutte le operazioni del ministero si intendevano eseguite sotto la mia personale responsabilità. Oggi io rispondo che non mi commuovo, perché non si tratta di migliaia di lire ma di miliardi.  E che d’altronde non ho paura delle responsabilità.

 

Silvio Crespi, Alla difesa d’Italia in guerra e a Versailles, Verona, Mondadori, 1937, pp. 109-110.