Il restyling della legge Stanca, le nuove linee guida AGID, e l’accessibilità delle persone disabili agli strumenti informatici delle pubbliche amministrazioni: a che punto… saremo?

Le tecnologie, seppure capaci di contribuire allo sviluppo di una società più efficiente, veloce e globalizzata, possono al contempo innalzare nuovi muri per chi abbia difficoltà e bisogni particolari; in particolare, la progettazione e la programmazione della tecnologia per un’utenza priva di disabilità, secondo logiche di mercato, crea delle pericolose barriere virtuali (c. digitali). Incrementare l’accessibilità alle ICT anche a favore delle persone con disabilità è risultato e risulta ancora più impellente a fronte del processo di digitalizzazione delle pubbliche amministrazioni. Di recente, il legislatore nazionale è intervenuto sulla legge Stanca con l’obiettivo di recepire la direttiva europea WAD del 2016; l’AGID, a sua volta, ha emanato delle linee guida sull’accessibilità degli strumenti informatici. A che punto… saremo?

 

Nel parlare di “information society”, Daniel Bell, nel testo “L’avvento della società post-industriale”  (1973), si riferisce a una società che, giunta al culmine dell’industrializzazione, indirizza risorse ed energie verso la produzione di beni immateriali, per continuare a crescere ed evolversi; una società che evolve attorno alle nuove tecnologie dell’informatica e delle telecomunicazioni – c.d. ICT, Information and Communications Technology -, quei perni che hanno assunto un ruolo ormai centrale nello sviluppo delle attività umane.

L’esperienza ci insegna che le tecnologie, seppure capaci di contribuire allo sviluppo di una società più efficiente, veloce e globalizzata, possono al contempo innalzare nuovi muri per chi abbia difficoltà e bisogni particolari (sul punto, si vedano le considerazioni svolte da E. Caterini nel volume “L’intelligenza artificiale “sostenibile” e il processo di socializzazione del diritto civile”, di cui si è dato conto, tramite recensione, in un post di questo Osservatorio).

In particolare, la progettazione e la programmazione della tecnologia per un’utenza priva di disabilità, secondo logiche di mercato, crea delle barriere virtuali (c. digitali), che, al pari di quelle architettoniche, diventano fonte di emarginazione e di diseguaglianze; è per questo che, da anni, il Parlamento e il Consiglio europeo lavorano per migliorare l’accessibilità del web e dei servizi digitali.

Incrementare l’accessibilità alle ICT anche a favore delle persone con disabilità e, in generale dei soggetti più deboli, risulta ancora più impellente a fronte del processo di digitalizzazione delle pubbliche amministrazioni e della conseguente trasformazione delle modalità di erogazione dei servizi pubblici.

La pandemia ha inoltre reso evidente quanto sia importante assicurare a tutti la possibilità di accedere liberamente ai (e utilizzare liberamente i) servizi digitali: proprio in occasione del cd. bonus vacanze, ad esempio, l’Associazione Luca Coscioni ha diffidato l’Agenza delle entrate dal momento che l’APP IO, strumento online necessario per inoltrare la richiesta del bonus previsto dal decreto rilancio, non supportava gli screen reader utilizzati da persone affette da disabilità sensoriali (cieche o ipovedenti).

L’Italia è sempre apparsa particolarmente attenta a garantire, sul piano normativo, la piena accessibilità delle persone disabili ai sistemi informatici delle pubbliche amministrazioni.

Con il CAD del 2005, ad esempio, ha chiesto alle pp.AA. di dotarsi di “un centro di competenza” cui demandare, fra gli altri compiti, anche quelli inerenti all’accesso dei soggetti disabili agli strumenti informatici e la promozione dell’accessibilità. Con l’art. 53 dello stesso codice ha previsto, poi, che i siti istituzionali su reti telematiche “rispettino i principi di accessibilità, nonché di elevata usabilità e reperibilità, anche da parte delle persone disabili”.

Ma il nostro ordinamento si è invero mostrato all’avanguardia sul tema fin dall’adozione della antecedente l. n. 4/2004, c.d. legge Stanca (“Disposizioni per favorire e semplificare l’accesso degli utenti e, in particolare, delle persone con disabilità agli strumenti informatici”).

La legge, applicabile alle amministrazioni pubbliche (e, sulla base di quanto disposto dal decreto semplificazioni, anche a una certa fetta di soggetti privati che offrano servizi al pubblico attraverso siti web o applicazioni mobili), ha sancito il diritto di ogni persona ad accedere a tutte le fonti di informazione e ai relativi servizi, anche attraverso strumenti informatici e telematici, “in ottemperanza al principio d’uguaglianza ai sensi dell’art. 3 della Costituzione”.

Tuttavia, lo stato di salute dell’accessibilità digitale degli amministrati agli strumenti informatici delle amministrazioni italiane non è ancora del tutto ottimale: i siti della pubblica amministrazione, stando alle denunce effettuate sul tema dalle associazioni di categoria, sono spesso inaccessibili; ovvero, quando accessibili per una certa fetta di persone disabili, difficilmente risultano appieno intellegibili per (meglio, usabili da) coloro i quali facciano uso di tecnologia assistiva.

Si consideri, a titolo esemplificativo, il caso di una persona che faccia uso di tecnologia assistiva e voglia prendere visione di uno di quei documenti che la pubblica amministrazione, siccome obbligata dalla legge, ha  pubblicato sui propri siti web: qualora il file sia stato pubblicato  in rete dopo essere stato meramente scansionato, l’interessato incontrerà difficoltà pratiche evidenti nel conoscerlo sul piano contenutistico, posto che la tecnologia di cui si avvale per potere svolgere compiutamente le proprie attività quotidiane non sarà in grado di decifrare il testo del documento (che si presenta come un qualsiasi file immagine, e non come un file di testo decifrabile).

Si tratta di un problema che incide sulla piena ed effettiva attuazione di principi cardine dell’attività amministrativa, come quelli della pubblicità e della trasparenza, che non vengono in tal modo concretamente assicurati (la casa di vetro resta, per alcuni, una casa di cemento, senza finestre, né feritoie).

Il legislatore nazionale è di recente intervenuto sulle normative esistenti.

In particolare, ha modificato la sopra richiamata legge Stanca, al fine di recepire la direttiva europea UE/2016/2102 (c.d. Web Accessibility Act -WAD-, specificatamente dedicata all’accessibilità dei siti web e delle applicazioni mobili degli enti pubblici, indipendentemente dal dispositivo utilizzato per l’accesso), che ha avuto il duplice obiettivo di garantire una maggiore accessibilità digitale alle persone con disabilità e di assicurare il raggiungimento di certezza giuridica tramite l’armonizzazione delle normative nazionali in materia.

Proprio in attuazione dell’art 11 della legge Stanca così modificata, l’AGID (Agenzia per lo Stato Digitale), lo scorso 9 gennaio, ha pubblicato le nuove Linee Guida sull’accessibilità degli strumenti informatici.

Le linee guida, come prescritto dalle norme della legge Stanca, sono state adottate a valle delle opinioni espresse, nell’ambito di una consultazione pubblica chiusasi a settembre 2019, dalle associazioni rappresentative delle persone con disabilità, oltre che da quelle afferenti al settore industriale coinvolto nella creazione di software per l’accessibilità di siti web e applicazioni mobili: in tal modo, è stata data attuazione a quanto espressamente previsto, sul punto, dall’art. 4 della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità, secondo cui “gli Stati Parti, nei processi decisionali relativi ai temi concernenti le persone con disabilità, si consulteranno con attenzione e coinvolgeranno attivamente le persone con disabilità, (…) attraverso le loro organizzazioni rappresentative”.

Tra le altre cose, le pubbliche amministrazioni dovranno pubblicare una dichiarazione di accessibilità per i siti web e le applicazioni mobili di cui sono titolari; dovranno inoltre predisporre un meccanismo di feedback tramite il quale raccogliere le valutazioni degli utenti, i quali, qualora rileveranno elementi di inaccessibilità ulteriori rispetto a quelli presenti nella dichiarazione di accessibilità, potranno richiedere informazioni al soggetto erogatore e, se il soggetto erogatore non risponderà entro 30 giorni dalla ricezione della richiesta, oppure risponderà in modo insoddisfacente, potranno rivolgersi al Difensore civico per il digitale (figura prevista dal Codice dell’amministrazione digitale a garanzia dei diritti digitali di cittadini e imprese: a questo link è possibile prendere visione degli inviti che il Difensore civico per il digitale ha inoltrato alle amministrazioni inadempimenti, a fronte di una segnalazione ricevuta da utenti e ritenuta fondata).

Le amministrazioni avrebbero dovuto pubblicare la prima dichiarazione di accessibilità entro il 23 settembre scorso; tuttavia, l’AGID, sentita sul punto, ha riferito che sono poche, allo stato, le pp.AA. che hanno proceduto con la pubblicazione del suddetto documento e che le altre (esposte pertanto a una responsabilità da inadempimento normativo, ai sensi dell’art. 9 della legge Stanca) si stanno ancora adeguando.

Occorrerà dunque verificare come e in che termini le pubbliche amministrazioni italiane si adegueranno alle nuove prescrizioni normative e alle linee guida dell’AGID e come consequenzialmente migliorerà, se migliorerà, lo stato di salute dell’accessibilità ai sistemi informatici delle pubbliche amministrazioni.

Resterà anche da capire come i soggetti privati sottoposti agli obblighi di cui alla legge Stanca riusciranno a rispettare le prescrizioni normative, soprattutto alla luce del fatto che le linee guida, come riferito dall’Agenzia, sono state espressamente pensate per i soggetti pubblici.

Il problema è di non poco conto, se si considera che questi soggetti saranno sanzionati dalla stessa Agenzia qualora disattenderanno le disposizioni della legge Stanca.

Invero, al momento non esiste un documento ufficiale “ricognitivo” dello stato dell’accessibilità dei sistemi informatici delle amministrazioni pubbliche (ovvero, dei problemi maggiormente riscontrati dalle persone disabili, ovvero, ancora, delle segnalazioni che siano finora state effettuate all’AGID).

Verosimilmente, di un quadro generale delle evoluzioni che interesseranno la materia si potrà avere contezza una volta che l’AGID avrà pubblicato gli esiti del monitoraggio sulla conformità dei siti web e delle applicazioni mobili (cui è tenuta oggi, a seguito delle modifiche intervenute nel 2018) e avrà presentato alla Commissione europea la reazione sugli esiti del monitoraggio sulla conformità dei siti web e delle applicazioni mobili dei soggetti tenuti ad applicare la direttiva 2016/2102 (relazione che l’Autorità dovrà presentare entro il 23 dicembre 2021 e successivamente ogni tre anni).

Monitoraggio che l’Agenzia ha iniziato ad apprestare e che, stando ai dati da essa stessa forniti sul punto, dovrà svolgere su 1200 siti ca. e 25 APP.

Occorre rilevare che le persone disabili avranno comunque la possibilità, in caso di inadempimento normativo, di ottenere tutela risarcitoria, nelle sedi opportune, esercitando i diritti che sono ad esse riconosciuti dalla legge n. 67 del 2006 (“Misure perla tutela giudiziaria delle persone con disabilità vittime di discriminazioni”).

Un ruolo centrale, si ritiene, sarà giocato dal responsabile per la transizione digitale, che, nominato ai sensi, dell’art. 17 del CAD, si configura come una figura decisiva, in tutte le realtà della Pubblica Amministrazione, per il successo dei processi di digitalizzazione e di riorganizzazione.

Allo stato, sono ancora pochi gli enti che hanno proceduto alla nomina di questo soggetto; si tratta tuttavia di una figura essenziale, che può davvero assicurare l’attuazione degli indirizzi dettati dall’Agenzia e sulla cui formazione occorre dunque investire, onde evitare che, sebbene formalmente sussistente, non riesca comunque a svolgere efficacemente i propri compiti e a soddisfare di conseguenza la tutela dei diritti alla cui preservazione è deputato.

In ogni caso, si tratta di una tematica che necessita di essere attenzionata e di cui si dovrà tenere debitamente conto anche nel momento in cui si lavorerà sulle città del futuro, le cd. smart cities: il rischio è che altrimenti le stesse, seppure all’avanguardia, possano alimentare pericolose diseguaglianze sociali già esistenti.

Se la città intelligente non sarà, prima ancora, sensibile, con difficoltà gli utenti portatori di necessità particolari potranno ad esempio usufruire di tutti quei servizi pubblici che saranno erogati per il tramite delle nuove tecnologie (sull’utilizzo della nuove tecnologie per l’erogazione dei pubblici servizi, si è già detto in questo Osservatorio).

Invero, apprestare dei sistemi astrattamente accessibili non basterà: occorrerà altresì lavorare sull’alfabetizzazione digitale dei singoli, alfabetizzazione che, come dimostrano i dati sul punto, non è stata ancora assicurata.

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