
Dall’1 al 14 dicembre 1963 si tenne a Roma il convegno della Accademia nazionale dei Lincei su “La funzione dell’Università nel mondo contemporaneo”. Parlarono, ognuno per la rispettiva disciplina, illustri docenti: dopo la relazione introduttiva affidata a Giovanni Calò, presero la parola Paolo Dore, Antonino Pagliaro, Eligio Perucca, Alberto Maria Ghisalberti, Felice Battaglia, Eugenio G. Togliatti, Giovanni Favilli, Giulio De Marchi, Arturo Carlo Jemolo. La rivista “Il Mulino” dedicò al convegno nove pagine di commento. Una serrata e utilissima analisi (non firmata, quindi redazionale) dei singoli discorsi, preceduta da un rispettoso apprezzamento per l’iniziativa dell’Accademia. Ma conclusa con una critica severa e assai pertinente sulle omissioni e i silenzi del convegno, che spiega molto della contrastata storia dei decenni successivi al miracolo economico; e che – riletta oggi a distanza di 60 anni – suona, pur senza voler tacere i progressi compiuti, per certi versi ancora attuale.
Il basso livello degli studi economici, la poca conoscenza delle tecniche sociologiche, il disinteresse per un certo tipo di ricerca storica – e non a caso parliamo di storia in questo contesto – sono fattori che certamente contribuiscono a spiegare le carenze sopra lamentate. Che nulla sia stato detto a questo riguardo nel convegno dei Lincei, che della Facoltà di economia e commercio e di scienze politiche si sia del tutto taciuto, quando proprio esse e di riflesso la Facoltà di giurisprudenza sono quelle più bisognevoli di totali riforme, sta a dimostrare una volta di più, purtroppo, la scarsa sensibilità che i nostri ambienti accademici – parliamo appunto di ambienti, e non di persone – dimostrano verso l’effettiva e concreta problematica della società italiana attuale, la quale non può più accontentarsi di avere il migliore avvocato possibile, o anche il migliore ingegnere e il miglior medico, ma esige che a ogni posto corrisponda una competenza e che alla tanto ricca e varia articolazione sociale corrisponda una serie altrettanto ricca e varia di competenze, di impegni e di responsabilità professionali. In definitiva ci sembra di poter dire che i Lincei si sono mossi da par loro nel delineare le carenze e le insufficienze dell’Università italiana; hanno quasi sempre sostenuto con larghissima apertura le tesi più innovatrici, fino a quando si è trattato dei problemi più famigliari all’ambiente accademico, quali l’organizzazione della ricerca scientifica, la formazione dei quadri universitari e dei docenti delle scuole secondarie, la formazione scientifica dei professionisti tradizionali; sono mancati completamente all’attesa (…) quando si è trattato di comprendere fino a che punto la società moderna, accentuatamente sviluppatasi nelle attività terziarie, sempre più socializzata e socializzantesi, chiede all’Università di trasformarsi nelle strutture e nei metodi, perché le sia di guida e la diriga e sia ancor oggi, come già in passato, alimentatrice di studi, di energie, di ideali.
I Lincei discutono sull’università, in “Il Mulino”, XIII, n. 136, febbraio 1964, pp. 227-235.