Il «lavoro industriale» nell’amministrazione: le telegrafiste di Stato di Matilde Serao

Matilde Serao (1856-1927), giornalista e scrittrice à la page, firma di punta sul «Mattino» di Napoli, era stata da ragazza impiegata ai Telegrafi, una tra le prime «ausiliarie» che – pagate pochissimo e sfruttate moltissimo – avevano popolato gli uffici telegrafici delle principali città italiane di fine Ottocento.

In questo suo romanzo breve («Romanzo per le Signore» si autodefiniva, forse per vendere meglio) le giovani telegrafiste napoletane, ognuna un tipo e un carattere, sono dipinte in un affresco vivace non privo di forti toni sentimentali: giovani o più attempate, rigorosamente nubili (il matrimonio era causa di licenziamento, la maternità altrettanto, così da essere spesso nascosta dalle ragazze), vivono intensamente i loro sogni romantici e i loro primi amori, chiacchierano di toilettes e di balli alla moda, anelano al matrimonio, ma anche condividono le loro amarezze e la fatica quotidiana di un durissimo lavoro misurato su tempi inderogabili sotto l’occhio inesorabile della direttrice.

La pagina qui proposta racconta proprio quel nuovo modo di lavorare, così diverso da quello degli uffici tradizionali: in questo modernissimo settore dell’amministrazione, nei grandi cameroni precursori degli open spaces moderni, domina il ritmo forsennato dell’«apparato», il fluire incalzante dei telegrammi in arrivo e in partenza, il ticchettio martellante delle macchine.

Le ragazze di Matilde Serao forse non lo sanno, ma sta affermandosi persino nell’amministrazione dello Stato un embrione del futuro taylorismo industriale presto introdotto nelle fabbriche. E loro ne sono le prime vittime.

 

Tutte le macchine, Morse, Siemens, Hughes, doppia Hughes, Steele, erano in movimento: i due capoturni erano presenti andando e venendo, come sonnambuli, col sigaro spento, un fascio di telegrammi in mano.

La porta di comunicazione con la sezione femminile era semiaperta, caso nuovissimo, ma nessuno si voltava. Nella sezione femminile erano presenti tutte le ausiliarie, ognuna a una macchina; la direttrice andava e veniva.

La vice-direttrice, piccolina, coi capelli corti, una testolina simpatica di garzoncello svelto, correva da una macchina all’altra, riordinando dispacci, regolando i sistemi di orologeria, dando l’inchiostro, lesta come uno scoiattolo, le mani pronte, l’occhio vivo, la parola alta e breve. I telegrammi nascevano, sgorgavano, spuntavano da tutte le linee; su tutte il ritardo era di tre ore, i telegrammi da trasmettere si ammonticchiavano, formavano fasci, manipoli, cumuli; mentre se ne trasmetteva uno, ne arrivavano cinque da trasmettere, mentre si finiva di trasmettere una serie d dieci ne restavan fermi cinquantadue. Le ausiliarie erano prese dalla febbre, che ogni ora saliva di grado.

Alta, seduta sul seggiolone, col vestito coperto da un grande grembiale nero, Adelina Markò lavorava alacremente alla macchina Hughes, con Genova, trasmettendo con una lestezza di dita da pianista emerita, con uno scricchiolio rapidissimo di tutto quell’ingranaggio, dando la corda al congegno con certi colpi potenti del piede diritto, i capelli rialzati sulla testa per non aver fastidio alla nuca, le maniche rimboccate per poter trasmettere più facilmente: accanto a lei, Giulietta Scarano aveva appena il tempo di registrare i dispacci.

Maria Morra sedeva sull’alto seggiolone, anche lei, alla linea di Bari: un ciuffo di capelli le scendeva sopra un occhio, aveva una macchia d’inchiostro azzurro sul mento, il goletto sbottonato perché si sentiva soffocare, due macchie rosse sui pomelli: ogni tanto Emma Torelli le dava il cambio, per farla riposare un po’, registrando i dispacci, classificandoli, facendo tutto il servizio di segreteria.

Fra le coppie di hughiste, ambedue egualmente responsabili della linea, vi erano questi brevi dialoghi, senza lasciar di trasmettere e di scrivere:
– Quanti ce ne sono ancora?
– Quarantratré.
– E che ritardo?
– Due ore e cinquanta.
– Madonna santissima!

 

Matilde Serao, Telegrafi dello Stato. Romanzo per le Signore, Roma, Tip. Edoardo Perino, 1895, pp. 47-48.