Gli effetti demolitori delle sentenze di annullamento possono essere modulati (Cons. St., sez. I, parere 30 giugno 2020, n. 1233)

La I Sezione del Consiglio di Stato, nel rilasciare parere ex artt. 12 e 13, d.P.R. n. 1199/1971, afferma che la regola dell’annullamento con effetti ex tunc dell’atto impugnato può essere derogata allorché, nel caso di atti normativi o generali, l’annullamento dell’atto possa generare una condizione amministrativa di vuoto regolatorio tale da determinare effetti peggiorativi della posizione giuridica tutelata con il ricorso (nel senso di pregiudicare, anziché proteggere, il bene della vita che l’interessato aspira a conseguire o mantenere).

Nel caso di specie, con ricorso straordinario al capo dello Stato, alcune associazioni ambientaliste avevano impugnato le delibere con le quali la giunta regionale della Toscana aveva approvato il “Piano Specifico di Prevenzione AIB” (Anti Incendio Boschivo) per il comprensorio territoriale delle pinete litoranee di Grosseto e Castiglione della Pescaia (la pineta cd. del “Tombolo”), area di grande pregio naturalistico e paesaggistico, presidiata da numerosi vincoli paesaggistici e ambientali, nonché la delibera di giunta di approvazione del “Piano AIB 2019-2021”.

Il Consiglio di Stato, nel parere in rassegna, ritiene che il ricorso debba essere accolto e che perciò debbano essere annullati gli atti impugnati.

Tuttavia, consapevole dell’importanza del piano antincendi predisposto dalla Regione, soprattutto in ragione dell’inizio della stagione estiva, gradua l’effetto caducatorio del disposto annullamento, differendolo: in particolare, il Collegio stabilisce che l’annullamento avrà effetto solo una volta che sarà stato approvato il nuovo piano AIB (approvazione che dovrà avvenire, nel rispetto dei principi affermati con il parere in rassegna, nel termine di 180 giorni dalla comunicazione del decreto che decide il ricorso).

L’annullamento non graduato del piano specifico AIB, afferma la Sezione, avrebbe provocato effetti dannosi per gli stessi interessi ambientali fatti valere dalle Associazioni ricorrenti: esso avrebbe potuto “indurre indirettamente un effetto di paralisi dell’azione amministrativa di prevenzione incendi, impedire dunque anche quegli interventi urgenti, necessari a mitigare il rischio di incendi boschivi e, con l’approssimarsi della stagione estiva, aumentare di fatto ancor di più il rischio di devastanti incendi, difficilmente controllabili, con il risultato paradossale che l’accoglimento del ricorso proposto dalle associazioni ambientaliste potrebbe finire per (con)causare indirettamente la distruzione definitiva di quei paesaggi e di quegli habitat naturali”.

Il Collegio ritiene inoltre che la decisione di far rimanere in vigore il piano annullato durante il predetto periodo di 180 giorni consenta di bilanciare le contrapposte esigenze di tutela giurisdizionale degli interessi dei ricorrenti (e di ripristino della legittimità dell’azione amministrativa) con quelle di tutela della pubblica incolumità e della sicurezza delle persone e dei beni patrimoniali delle concentrazioni antropiche che insistono nella (o in prossimità della) pineta oggetto del piano AIB impugnato.

Il Consiglio di Stato riconosce tuttavia l’obbligo delle Autorità competenti di adottare, nelle more, tutte le misure e le azioni, eventualmente anche in attuazione parziale del piano annullato, per mettere in sicurezza il sito, nonché per fronteggiare gli interventi improcrastinabili e indifferibili relativi ad aree – soprattutto vicine ad insediamenti antropici – che presentino rischi elevati secondo la prudente e responsabile valutazione delle amministrazioni.

La facoltà di modulare gli effetti demolitori delle sentenze di annullamento è stata riconosciuta dal Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, nel 2011 (Cons. St., sez. VI, 10 maggio 2011, n. 2755). In quella sede, il Collegio, accertata l’illegittimità del piano faunistico venatorio della regione Puglia a cagione dell’omesso svolgimento del procedimento di valutazione ambientale strategica (VAS), aveva accolto il ricorso e aveva dichiarato la perdurante efficacia dell’atto impugnato nelle more dell’adozione di un nuovo provvedimento programmatorio sostitutivo.

A tali conclusioni la VI Sezione era pervenuta non soltanto sul rilievo della potenziale compromissione degli equilibri ambientali derivante dall’eliminazione degli effetti del piano originariamente approvato, ma anche in ragione del contenuto delle pretese fatte valere dalla parte ricorrente: essa aveva sostenuto, infatti, che il principio di effettività della tutela giurisdizionale, nella declinazione desumibile tanto dalle fonti sovranazionali (articoli 6 e 13 della CEDU), quanto da quelle interne (articoli 24 e 113 della Costituzione), imponeva una modulazione temporale dell’efficacia tipica del dictum giudiziale, in vista della necessità di assicurare una soddisfazione non meramente formale dell’interesse fatto valere con la domanda.

In virtù dell’ascrivibilità della disciplina ambientale al novero delle competenze concorrenti fra gli Stati membri e le istituzioni dell’Unione europea, il Consiglio di Stato, osservando che il riconoscimento di deroghe alla naturale retroattività degli effetti caducatori non incontrava alcuna preclusione nelle norme sostanziali e processuali, aveva altresì rilevato come gli interessi fatti valere in tale ambito materiale dovessero essere tutelati dai giudici nazionali secondo livelli di garanzia non inferiori rispetto a quelli assicurati dal diritto eurounitario, riconoscendo, in tal senso, che le disposizioni di cui all’articolo 264 del TFUE, specie nella parte in cui affidano alla Corte di giustizia la facoltà di precisare “gli effetti dell’atto annullato che devono essere considerati definitivi” (paragrafo 2), trovano ingresso nell’ordinamento interno in qualità di principi idonei a garantire una “tutela piena ed effettiva” delle situazioni giuridiche soggettive dedotte in giudizio (articolo 1, c.p.a.).

Il Consiglio di Stato, nel parere in commento, passate in rassegna le critiche dottrinali maggiormente rilevanti sul tema e spiegati i motivi per i quali queste ultime possano considerarsi superabili, precisa che la soluzione inaugurata dalla sentenza n. 2755/2011 trae fondamento nell’evoluzione del sindacato del giudice che si è trasformato da giudizio di mera conformità dell’atto ad un determinato parametro normativo a giudizio sul legittimo esercizio della funzione amministrativa con riferimento al rapporto (Cons. St., ad. plen., 23 marzo 2011, n. 3).

L’impostazione accolta si pone in continuità con l’indirizzo accolto dalla giurisprudenza eurounitaria (la Corte di Giustizia, prima in applicazione dell’articolo 231 Trattato CE, poi in ossequio a quanto stabilito dall’articolo 264 TFUE, ritiene di poter decidere, di volta in volta, sugli effetti dell’annullamento nel caso di riscontrata invalidità di un regolamento e “anche nei casi di impugnazione delle decisioni, delle direttive e di ogni altro atto generale”: cfr. ad es. Corte di giustizia, sentenza 22 dicembre 2008, in causa C-333/07); inoltre, l’analisi delle tradizioni giurisprudenziali straniere (in specie francese) dimostra il diffuso riconoscimento di deroghe alla retroattività delle sentenze di annullamento.

Il Consiglio di Stato precisa però che a) il giudice, nel modulare la tutela da accordare alle situazioni coinvolte nella controversia, non deve mai travalicare i confini del merito amministrativo, se non nei rari casi previsti dalla legge (articolo 134 c.p.a); b) tale potere deve essere utilizzato in modo accorto e solo nelle ipotesi in cui si renda necessario per una migliore tutela degli interessi fatti valere nel giudizio in confronto con quelli pubblici e privati coinvolti. E ciò anche al fine di evitare che le esigenze di effettività della tutela trasmodino in situazioni di incertezza giuridica o amministrativa.

Infine, la Sezione, rilevato che le tesi sostenute con la citata sentenza n. 2755 del 2011 sono state solo occasionalmente accolte dalla giurisprudenza amministrativa (cfr. da ultimo Cons. St., sez. VI, 6 aprile 2018, n. 2133), precisa che parte ricorrente, decorso il termine di 180 giorni dalla comunicazione del decreto che decide il ricorso, “qualora l’amministrazione non dovesse ottemperare alla decisione, potrà agire in sede di ottemperanza secondo il costante orientamento della giurisprudenza”.