Giolitti e l’INA

«Che lo Stato abbia nelle sue mani grandi istituti finanziari che lo rendano indipendente dagli interessi»: le parole del 1911 di Giovanni Giolitti.

Con la Legge 4 aprile 1912, n. 305, il Parlamento italiano stabilì il monopolio delle assicurazioni ramo-vita (sarebbe dovuto iniziare nel 1923, fu abolito dal primo fascismo ma di fatto rimase in vigore data la conformazione frattanto assunta dal settore).  Contenporaneamente costituì un nuovo istituto pubblico, l’INA, Istituto nazionale delle assicurazioni, incaricato di realizzarlo. Nasceva così il primo grande ente pubblico nazionale di tipo economico-finanziario. Un’amministrazione agile, senza burocrazie (contratto di lavoro a tempo, licenziabilità dei dipendenti), che in tutto assomigliava alle aziende private salvo che per il fine, che veniva definito pubblico.

Nitti, ministro dell’Agricoltura, industria e commercio, ne fu il convinto promotore. Stese lui la legge, con l’ausilio di una pattuglia di funzionari tecnici di grande valore (Alberto Beneduce, Vincenzo Giuffrida, Antonio Sansone). Ma anche Giolitti volle fortemente l’INA e la difese personalmente in Parlamento contro le proteste dei deputati liberisti. Dal suo discorso tenuto alla Camera prima del voto è tratto questo breve brano, nel quale sono indicate con straordinaria lucidità le finalità della legge e si traccia un quadro storico di grande interesse sulle sue conseguenze. Il brano estrapolato dagli Atti parlamentari parla da solo. Avvertiamo soltanto che la parola «sindacati» qui significa «cartelli» o comunque agglomerato di interessi economici; e che il termine «classi» è un sinonimo di quelli che noi chiameremmo oggi i grandi interessi capaci di influenzare la politica nazionale.

Ora, io sono d’avviso che è bene che vi siano delle grandi forze finanziarie. Il Governo italiano ha sempre seguito questa via, di cercar modo di aiutare le grandi industrie ed i grandi istituti di credito. Vado più in là. Riconosco che in alcuni casi anche i sindacati possono essere utili quando occorrono per diminuire la soverchia concorrenza, perché la esagerazione della concorrenza può portare ad un tempo la rovina delle industrie e l’abbassamento dei salari. Riconosco anche che in questo caso il sindacato è una necessità per difendersi dalla concorrenza straniera, ma io pongo, come condizione assoluta, che il sindacato non diventi mai un mezzo di dominazione politica. A questo scopo, se non si vuole che questi grandi sindacati diventino un mezzo di influenza politica, è necessario che lo Stato abbia nelle sue mani dei grandi istituti finanziari, che lo pongano in piena libertà di fronte a tutte le classi. Lo Stato, anche in materia economica, deve dirigere ma non deve essere diretto.

La forza finanziaria dello Stato che si verrebbe a creare con questi enti, che concentrino in sua mano dei grandissimi capitali, è elemento di solidità per le industrie e i commerci, perché uno Stato debole non può, nei momenti più difficili, trovar modo di evitare le grandi crisi.

Ho spiegato chiaramente quali sono gli alti fini che si propone questo disegno di legge: favorire in tutti i modi il risparmio, e soprattutto il risparmio delle classi meno agiate; concentrare nelle mani dello Stato una grande forza finanziaria.

 

Atti Parlamentari Camera dei Deputati, Leg. XIII, 1a sess., Discussioni, 2a tornata 8 luglio 1911, intervento del deputato Giolitti, presidente del Consiglio, sul disegno di legge  “Provvedimenti per l’esercizio della assicurazione sulla durata della vita umana e la costituzione di un istituto nazionale delle assicurazioni”.