Focus Ucraina – Hybrid warfare, Google e l’operazione militare speciale

Una mail interna di Google dimostra come sia stato ordinato ai traduttori russi di non chiamare “guerra” l’invasione dell’Ucraina. Il gigante di Mountain View, nonostante si sia dichiarato contrario ai propositi bellici della Russia, ha accettato l’imposizione del Cremlino nel definire il tentativo di occupazione “operazione militare speciale”.

 

 

Agli inizi di marzo, Google ha dato disposizione ai contractors, incaricati delle traduzioni per il mercato russo, secondo cui, con effetto immediato, la guerra in corso contro l’Ucraina non poteva più essere definita una guerra, ma piuttosto ricondotta a generiche “circostanze straordinarie”.

La disposizione, di contro, evidenziava come il termine “guerra” dovesse continuare a essere utilizzato in altri mercati, giustificando la propria scelta con la necessità di rispettare la legge russa sulla censura promulgata subito dopo l’invasione dell’Ucraina (già discussa nell’Osservatorio qui e qui).

La notizia, rilanciata da The Intercept, ha trovato conferma nelle affermazioni del portavoce di Google secondo cui la decisione si è resa necessaria per assicurare la sicurezza dei dipendenti che operano ancora in Russia, nonostante la stragrande maggioranza delle attività commerciali sia già stata interrotta.

Google, infatti, avrebbe sospeso diversi servizi, tra cui le vendite a inserzionisti russi, le vendite di pubblicità diretta agli spettatori russi di YouTube, le iscrizioni a Google Cloud in Russia e i propri servizi di pagamento.

Il gigante di Mountain View ci tiene a precisare, inoltre, come la scelta non si applichi ai servizi di informazione, come Google Search e Youtube.

Di contro, però, la modifica di policy si applicherebbe a tutti i prodotti Google tradotti in russo, tra cui anche Google Maps, Gmail, AdWords, nonché nelle comunicazioni tra Google e gli utenti.

Il documento divulgato spiegherebbe come mai alcune pagine web di Google usano termini eufemistici come “emergenza in Ucraina” nella loro versione russa, a differenza che nella versione inglese dove invece si parla di “guerra in Ucraina”.

La scelta della Russia di utilizzare il termine “operazione militare speciale” rientra nel più ampio utilizzo della hybrid warfare da parte dello stato invasore. Attacco, dunque, non solo bellico, ma anche informativo, cibernetico, diplomatico ed economico.

La scelta di Google di accettare le richieste della censura Russa è solo l’ultima di una lunga serie da parte delle Big Tech. Nel 2019, infatti, la Apple ha riconosciuto l’annessione della Crimea sulla sua app di navigazione a seguito delle forti influenze del governo Russo. Nel 2021, Google ha rivelato di aver soddisfatto il 75% delle richieste di eliminazione dei contenuti ricevute dal Cremlino quell’anno e, contemporaneamente, entrambe hanno deciso di rimuovere le app collegate al dissidente politico Alexey Navalny.

I vantaggi economici connessi all’accesso ad un mercato rilevante come quello russo, dunque, si pongono come i grimaldelli con cui troppo spesso giganti del web cedono alle pressioni governative di paesi autocratici, con la conseguenza di supportare, seppur involontariamente e indirettamente, diversi strumenti di promozione di operazioni ibride.

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