Fanfani e i gabinetti ministeriali

Il tema dei consiglieri di Stato e di quelli della Corte della Corte dei conti o dell’Avvocatura generale chiamati a svolgere la funzione di capi dei gabinetti ministeriali è antico e ricorrente. Il fenomeno, poco frequente nei periodi liberale e fascista, si intensificò nell’età repubblicana per due fondamentali ragioni: la prima fu l’obiettiva estraneità dell’alta burocrazia (per lo più ereditata dal fascismo) rispetto alla nuova classe politica espressa dai partiti democratici (e dunque una oggettiva esigenza per i nuovi governanti di poter contare su collaboratori di propria «stretta fiducia»); la seconda fu il generale calo di prestigio di quella stessa alta burocrazia, il che determinò da un certo momento in poi la necessità di una vera e propria supplenza di competenti «generalisti» al vertice dello Stato.

Tema antico, si è detto, già sollevato nel 1898 dall’allora presidente del Consiglio di Stato Saredo, il quale aveva chiesto al ministro di essere preavvertito prima della destinazione dei consiglieri «a qualche missione»; e di nuovo riproposto oltre cinquant’anni dopo dal suo successore Severi preoccupato anche lui (nel 1951) della funzionalità del massimo consesso amministrativo privato di tanti suoi membri.
Fanfani pose espressamente il problema del «cumulo degli incarichi» già agli inizi degli anni sessanta (governo Fanfani III, 1960-62), ma senza poter mettervi riparo. Ne trattò poi anche la stampa (Luca, La giustizia nell’amministrazione, in «Il Mondo», 13 giugno 1961). Qui il leader aretino ritorna sul tema in un passaggio breve ma incisivo delle sue dichiarazioni programmatiche alla Camera all’atto della presentazione del governo Fanfani IV.

Da notare, accanto al punto già sollevato dai due presidenti del Consiglio di Stato nel 1898 e 1951 (non sguarnire il massimo consesso amministrativo), quello nuovo qui introdotto della «sfiducia» che ne potrebbe trarre l’alta amministrazione.

 

I ministri, aventi alle proprie dipendenze personale di ruolo, sono stati invitati a non confermare od assumere nei propri gabinetti e nelle proprie segreterie componenti del Consiglio di Stato o della Corte dei conti, per non menomare la funzionalità di questi istituti, per rispettare il saggio principio che i controllati non possono essere contemporaneamente controllori e per non dare l’impressione di voler alzare barriere pregiudiziali di sfiducia o di sospetto tra il ministro e i dipendenti del suo Ministero.

Atti parlamentari Camera dei deputati, Leg. III, Disc., seduta 2 marzo 1962, p. 27606, discorso del presidente del Consiglio Fanfani.