Ernesto Rossi, Salvemini e la pratica scomparsa: un caso di mala burocrazia nell’immediato dopoguerra

Nel 1946 un gruppo di amici antifascisti (capeggiati da Piero Calamandrei) iniziò a premere sul governo espressione del CLN perché Gaetano Salvemini, dal 1925 esule e privato dal fascismo della cittadinanza italiana, potesse ritornare da Cambridge (Usa), dove aveva trovato un riparo e un insegnamento universitario (dal 1940 anche la cittadinanza americana), sulla sua vecchia cattedra fiorentina. L’impresa si rivelò subito di notevole difficoltà. Le furono opposti veti burocratici, ritardi, dimenticanze varie. Solo nel 1948 un provvedimento specifico concesse a coloro che, come Salvemini, erano cittadini stranieri di godere della facoltà di insegnare in Italia. Da qui l’iter successivo del provvedimento, che l’esule seguiva ansiosamente dall’America, in un alternarsi di docce fredde cui non erano estranei rancori politici vecchi e nuovi. Ernesto Rossi, suo discepolo e amico di sempre, seguiva la “pratica” e informava Salvemini dei passi in avanti e dei repentini arresti. Di seguito due passaggi della loro corrispondenza tra Roma e gli Stati Uniti. Si sarebbe dovuto aspettare l’estate del 1949 perché il “caso Salvemini” si risolvesse e l’anziano antifascista – a un passo dalla pensione – potesse tornare, quattro anni dopo la Liberazione,  a insegnare storia nella sua cattedra fiorentina.

Ernesto Rossi a Salvemini, Roma 20 giugno 1948.

Mi hanno assicurato che il decreto firmato da De Nicola è quello che conosci: non richiede nessuna rinuncia da parte tua alla cittadinanza americana. D’altra parte Silva[1] non poteva sapere niente di preciso, perché il decreto non è stato ancora pubblicato. Io mi sono più volte interessato della cosa, e con l’aiuto dell’avv. Carbone, capogabinetto di Einaudi[2], credo di essere ormai riuscito a superare tutti gli scogli. Il decreto si era arenato al Ministero della pubblica istruzione. Mi dicono [che] capita spesso che un ministro, richiesto della firma di un decreto già approvato dal Consiglio dei ministri e già firmato dal capo dello Stato, se lo tenga nel cassetto e lo faccia poi scomparire. È quasi sicuro che nella confusione generale nessuno mai si accorgerà dello scherzo.

Ernesto Rossi a Salvemini, Roma 23 luglio 1948.

Aggiungerò in fondo le ultime notizie riguardo al famoso decreto. Il capo gabinetto di Einaudi mi aveva assicurato che già da un pezzo  si trovava alla Corte dei Conti. L’ho fatto ricercare: alla Corte dei Conti non è mai arrivato. Pare sia ancora al Ministero della pubblica istruzione. La disorganizzazione degli uffici è tale che c’è da aspettarsi di tutto. Mi è già capitato di veder scomparire una pratica che aveva la firma di due ministri e che si trovava divisa in due ministeri. Basta un accordo telefonico tra due funzionari per far volatilizzare le carte in partenza e un arrivo. E con un’amministrazione così ridotta i nostri socialisti vogliono estendere la pianificazione.

Gaetano Salvemini, Lettere dall’America. II. 1947-1949, a cura di Alberto Merola, Bari, Laterza, 1968, lettere di Ernesto Rossi a Salvemini del 20 giugno 1948, p. 187 e del 23 luglio 1948, p. 196.

[1] Pietro Silva, storico (1887-1954). Antifascista, era stato allievo di Salvemini.

[2] Ferdinando Carbone (1900-1990), giurista insigne, fu capo di gabinetto di Einaudi prima al Tesoro e poi, quando questi divenne presidente della Repubblica, al Quirinale. Lasciò la carica per esser nominato presidente della Corte dei conti.