«Dittatori economici di guerra»: la polemica liberista di Umberto Ricci

Nell’immediato primo dopoguerra la cultura liberista (primo esponente Luigi Einaudi) sferrò una vera e propria offensiva contro quelli che proprio il professore di scienze delle finanze, editorialista del «Corriere della sera», aveva bollato come «i dittatori economici di guerra». Cioè quei funzionari – in prevalenza vicini a Francesco Saverio Nitti – che nel corso del conflitto avevano preso in mano le redini dell’economia finalizzata alla produzione per fini bellici e che nell’immediato dopoguerra teorizzavano (come faceva ad esempio Vincenzo Giuffrida ispirandosi a Keynes) un intervento più incisivo dello Stato anche in tempi di pace. In quel contesto di serrata discussione (in certi casi di vero scontro polemico senza risparmio di colpi) si situa questa pagina di Umberto Ricci (1879-1946), professore di statistica e di economia in varie università, poi antifascista, sempre liberista convinto: il cui bersaglio polemico è, con tutta probabilità, proprio Vincenzo Giuffrida.

“Improvvisamente la guerra ha portato certi impiegati dei ministeri, in prevalenza avvocati, a dirigere il commercio della nazione. Persone con mentalità giuridica, aggravata dalle abitudini burocratiche si sono messe di punto in bianco a sentenziare e decidere su acquisti e vendite di formaggi, frumenti, burro, carne, olio e via dicendo. Il commercio di ognuna di tali derrate richiede un lunghissimo tirocinio. Bisogna imparare a conoscere la qualità della merce, i luoghi di produzione, i gusti dei consumatori, le tariffe delle strade ferrate, i noli, le forme di contratto, le consuetudini di misurazione e di consegna, i segreti della conservazione, le avvedutezze dell’imballaggio e dei trasporti: un’arte complicata, che si acquista dopo anni di esercizio e solo da chi ha il tatto degli affari. Bravamente, in Italia, un funzionario d’ingegno, di ottima volontà, ma funzionario, e specializzatosi lungo tutta la sua esistenza nello studio legale dell’emigrazione, ha preso nelle mani le redini dell’approvvigionamento del paese, e si è dato a fissar calmieri, a importare, a distribuire, a legiferare in ché? Non in materia di frumento, che basterebbe essa ad assorbire il negoziante più provetto. Non in materia di oli, di carni congelate, di sardine, di baccalà, di formaggi, di prosciutti e di altri singoli alimenti, che richiedono uno per uno, ripetiamolo, un cumulo di cognizioni e di esperienze particolarissime. Ma, chiuso nello stanzino di un Ministero, solo, egli solo, pretese di dominare tutte quelle materie in una volta”.

Umberto Ricci, Il razionamento e la burocrazia, in «Rivista delle Società Commerciali», IX, n. 1, 31 gennaio 1919, pp. 16-31.