Del far segni sui libri. L’opinione di Palmiro Togliatti

Quello sotto riportato è il passaggio di un intervento su Vie nuove di Palmiro Togliatti (23 febbraio 1949), che, rispondendo alla domanda di un militante del suo Partito su «come si studia» (come avrebbero dovuto studiare cioè i compagni comunisti di base) scriveva:

 

Non è facile dire come si studia. (…) Molti pensano che studiare voglia dire leggere. Leggere invece non è sempre studio. Spesso è divertimento. Se poi si aggiunge la preoccupazione, che ho visto espressa, di non far segni sui libri, perché sarebbe indice di mala educazione (che maleducato Carlo Marx, il quale riempiva i suoi libri di segni e segnacci e li faceva persino a pezzi, in quinterni, per poterli utilizzar meglio, e diceva di trattarli così, perché i libri erano i suoi schiavi!), temo che il leggere, per molti, sia molto lontano dallo studio. La lettura è studio quando è fatta con un certo criterio, con metodo e con uno scopo, per raccogliere certe nozioni; per mettere in chiaro tutti i termini di una questione, per venire a sapere, per esempio, come i classici del marxismo hanno giudicato un fatto, una situazione storica, come hanno risolto un problema di strategia o di tattica; per conoscere che cosa è accaduto in un certo periodo storico; o per estendere la propria conoscenza di una lingua o di una letteratura, di una forma d’arte. Allora però la lettura non è sola, ma accompagnata dagli appunti, dalle note sui margini del libro, dai segni sul testo stesso, dalla ri-lettura, dal riassunto orale (mentale) o scritto delle cose lette, dalla loro ripetizione ecc.

 

Palmiro Togliatti, La guerra di posizione in Italia. Epistolario 1944-1964, Torino, Einaudi, 2014, p. 135.