Criptoattività e tentativi di regolamentazione: a che punto siamo?

Cina e Corea del Sud vietano l’emissione e l’offerta di cripto-attività per fare spazio a una moneta centrale virtuale. El Salvador attribuisce al Bitcoin valore di moneta ufficiale. La Commissione Europea ha proposto una regolamentazione dei mercati di cripto-attività. Regolatori globali, come lo IOSCO, hanno pubblicato principi e linee guida per la regolamentazione degli stablecoin. Insomma: ovunque si volga lo sguardo, si incontra un tentativo – talvolta concreto, talvolta solo annunciato – di introdurre delle regole per le criptovalute e le cripto-attività in generale. Il presente post intende svolgere una breve panoramica delle iniziative più importanti sinora intraprese.

Termini come “criptovalute”, “criptoattività” o “cryptoasset” sono ormai entrati a far parte del linguaggio comune (e del portafoglio) di molti di noi. Di queste, la più nota è senz’altro il Bitcoin, creato nel 2009 e che, nel giro di poco più di un decennio, è passato dal valere circa un centesimo di dollaro a toccare i 63.000 dollari (dati al 20 ottobre 2021).

Nel corso degli anni, tramite l’utilizzo della tecnologia distributed ledger technology (DLT), si è assistito a una enorme proliferazione delle cripto-attività (di cui le criptovalute costituiscono una species), con caratteristiche diverse e altrettanto diverse funzionalità, che ne rendono spesso difficile una categorizzazione e conseguente riconduzione a uno o più plessi normativi. Difatti, le cripto-attività (o token) costituiscono rappresentazioni digitali di valore che attribuiscono la titolarità di una grande varietà di diritti, relativi ad interessi finanziari o non finanziari. Strettamente legata al fenomeno delle cripto-attività è la relativa offerta sul mercato delle stesse, tramite le cc.dd. ICOs (Initial Coin Offerings) che costituiscono una modalità di raccolta presso il pubblico di risorse economiche destinate al finanziamento di un progetto imprenditoriale, offrendo in contropartita token.

Una classificazione delle cripto-attività particolarmente seguita dagli operatori di settore è quella operata per la prima volta dall’Autorità di vigilanza sui mercati finanziari svizzera (FINMA) che ha distinto le crypto in tre diverse categorie, a seconda della finalità del loro utilizzo: payment tokens (anche currency token) la cui finalità è quella di costituire un mezzo di scambio e che possono anche essere detenuti a scopo di investimento (fanno parte di questa categoria i bitcoin e i c.d. stablecoin, il cui valore è generalmente ancorato a quello di una o più valute ufficiali); investment tokens o securities token, tipicamente connessi a un’attività sottostante e rappresentativi soltanto di una frazione del suo valore complessivo; questa tipologia di criptoattività può essere considerata come prodotti finanziari, strumenti finanziari, titoli, ecc., a seconda delle categorie rinvenibili negli ordinamenti di riferimento che, di volta in volta, rilevano. Da ultimo, i c.d. utility tokens, i quali tipicamente consentono l’accesso a uno specifico servizio o bene, spesso fornito utilizzando una piattaforma DLT. Gli utility token generalmente non presentano le caratteristiche di un prodotto finanziario.

Secondo i dati di mercato al giugno 2020, si sono registrate a livello globale più di 5.600 criptoattività, con una capitalizzazione di mercato totale superiore a 260 miliardi di dollari, di cui il 65 % riconducibile ai soli Bitcoin.

Proprio siffatta elevata capitalizzazione di mercato ha spinto molti regolatori pubblici a intervenire nel settore de qua. Non solo: tali asset si caratterizzano per una elevatissima volatilità, che pone seri rischi in termini di tutela degli investitori retail. Si consideri che se, come sopra indicato, il Bitcoin ha raggiunto lo scorso ottobre 2021 la punta degli oltre 60.000 dollari, oggi è sceso a circa 40.000 (dati al 4 febbraio 2022 reperibili su coinmarketcap.com). In generale, poi, quella particolare categoria di token costituita dalle criptovalute, di cui ancora una volta il Bitcoin costituisce l’espressione più diffusa, si è posta sin dalla nascita come sfida alla sovranità degli stati e della moneta ufficiale. Da ultimo, si pongono problemi in termini di impatto ambientale delle attività di mining di criptovalute.

Di fronte a tali problematiche è possibile registrare atteggiamenti profondamente diversi da parte dei pubblici poteri: alcuni governi si sono mostrati estremamente permissivi nei confronti delle nuove tecnologie, per facilitarne la diffusione; altri, invece, hanno assunto un atteggiamento particolarmente rigoroso, quasi proibitivo; altri ancora hanno operato interventi di bilanciamento tra esigenze di tutela del mercato e degli operatori, da un lato, e necessità di garantire lo sviluppo tecnologico, dall’altro.

Leader del fronte ‘rigorista’ (o, meglio, proibizionista) è la Cina. A partire dal 2017 il governo ha proibito la raccolta di finanziamenti tramite ICOs, nonché gli scambi di Bitcoin attraverso la chiusura delle relative piattaforme (il divieto è esteso anche alle banche). Le imprese, soprattutto start-up, che tramite ICO avevano raccolto finanziamenti hanno dovuto restituire i fondi agli investitori. Recentemente il divieto è stato esteso a tutte le criptovalute private con un annuncio da parte della banca centrale. Parallelamente il governo cinese ha avviato una serie di sperimentazioni su uno yuan digitale, vale a dire su una moneta centrale digitale (ne abbiamo parlato qui); proprio qualche giorno fa è stata lanciata l’app pilota del relativo e-wallet.

Gli Stati Uniti, al contrario, mantengono un approccio decisamente meno ostile. Sinora non è stata adottata una legislazione ad hoc per le cripto-attività, ma in attuazione del principio same business-same rule la SEC verifica, di volta in volta, se un crypto-asset rientri nell’alveo degli strumenti finanziari con il c.d. Howey test (si veda lo speech del Presidente dell’authority Gensler qui; recentemente peraltro la SEC ha approvato il primo exchange traded fund negoziato in borsa basato su futures bitcoin). In caso di esito positivo del giudizio, si determina l’estensione della disciplina prevista per gli strumenti finanziari, nonché della attività di supervisione e vigilanza della SEC.

Nel continente europeo si registra un approccio ancora diverso. Molti paesi, difatti, non si sono limitati a valutare di volta in volta la riconducibilità di una data cripto-attività nell’alveo degli strumenti e/o prodotti finanziari. In molti casi sono state estese alle criptovalute le normative in materia fiscale e di antiriciclaggio e contrasto al terrorismo. Inoltre sono stati intrapresi tentativi di regolamentazione ad hoc, specie con riguardo al fenomeno delle ICOs. Così, ad esempio, hanno fatto Francia e Italia. La Consob, in un discussion paper pubblicato, nella versione definitiva, il 2 gennaio 2020 (qui il testo) non ritenendo utile l’introduzione di una nuova normativa, ha proposto l’estensione alle ICO della disciplina prevista per il crowdfunding, secondo un regime di opt-in, vale a dire di spontanea adesione da parte del soggetto. Inoltre, come emerge dal Piano Strategico 2022/2024, l’Autorità completerà a inizio 2022 la definizione di “una proposta normativa volta a introdurre nella legislazione nazionale regole di utilizzo della DLT nelle offerte di strumenti finanziari digitali – security token offerings”.

Queste ed altre iniziative saranno, almeno in parte, superate dalla proposta di regolamento in materia presentata dalla Commissione europea in data 24 settembre 2020. Ci si riferisce, nello specifico, alla c.d. proposta MiCAR, con cui vengono definite una serie di regole applicabili alle offerte di cripto-attività. Inoltre, nello stesso giorno la Commissione ha presentato un’ulteriore proposta, volta all’introduzione di un regime pilota per le infrastrutture di mercato basate sulla tecnologia di registro distribuito e che dovrebbe riguardare più specificatamente l’emissione tramite DLT di securities tokens.

La molteplicità di approcci al fenomeno delle criptoattività, di cui si è qui offerta una breve e parziale panoramica, discende a sua volta dalle diverse finalità perseguite dai pubblici poteri. Così, senza alcuna pretesa di esaustività, può dirsi che in Cina, dove è prevalso un atteggiamento ‘proibizionista’, l’obiettivo del governo è quello di assumere il controllo del sistema dei pagamenti (e dei cittadini), fino ad oggi in larga parte in mano a colossi privati. L’ostruzionismo in tal senso del governo di Pechino già si era manifestato in occasione della prevista quotazione del gruppo fintech Ant, che avrebbe dovuto costituire una delle più grandi initial public offering di sempre, con un valore stimato delle azioni vendute superiore i 37 miliardi di dollari. L’offerta è stata bloccata a pochi giorni dal lancio, per ragioni in gran parte ignote, anche se in molti sostengono si sia trattato della volontà del governo di arginare il potere del fondatore del gruppo, Jack Ma.

Tali conclusioni sembrerebbero rafforzate dal significativo stato di avanzamento del progetto dello yuan digitale, il quale consentirebbe non solo di porsi come alternativa pubblica alle criptovalute private, ma altresì di coinvolgere un’ampia fetta unbanked della popolazione cinese, dal momento che non è richiesta l’apertura di un conto in banca ma esclusivamente il possesso di uno smartphone.

La capacità di coinvolgimento di soggetti unbanked propria delle criptovalute è, peraltro, alla base della decisione di El Salvador di legalizzare il Bitcoin come mezzo di pagamento.

Negli Stati Uniti, al contrario, l’assenza di iniziative regolamentari ad hoc sul fenomeno delle crypto è riconducibile alla convinzione che la tecnologia, se non ‘imbrigliata’ entro le maglie rigide della regolamentazione, può espandersi e svilupparsi. Qui l’approccio sembra caratterizzarsi per la technology-neutrality.

In Europa, da ultimo, i tentativi di regolamentazione intrapresi sembrerebbero discendere dalla convinzione che solo un level playing field, con regole armonizzate, consenta un rapido sviluppo delle tecnologie.

Occorre, inoltre, notare che, a prescindere dal tipo di atteggiamento adottato, in quasi tutti gli Stati considerati sono in corso sperimentazioni di una central bank digital currency (ne abbiamo parlato qui e qui). Ciò a riprova di quanto la tecnologia alla base delle cripto-attività, la DLT, sta avendo un impatto assolutamente disruptive sul sistema finanziario e, in particolar modo, su quello dei servizi di pagamento.

Da ultimo, occorre chiedersi se una regolazione esclusivamente ‘locale’ del fenomeno sia sufficiente ed efficiente. In proposito si è espresso di recente il Presidente della Consob, prof. Paolo Savona, in occasione della conferenza “Regulating innovation in the financial system to power resilient recovery” tenutasi il 25 ottobre 2021 a Roma, sostenendo che “l’utilizzo di un quadro normativo internazionale per affrontare il problema legato alla crescita e allo sviluppo delle criptovalute è un tema da affrontare”.

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