Cattive leggi, comandi deboli: le ragioni della crisi amministrativa secondo De’ Stefani

Alberto De’ Stefani, ministro delle Finanze dal 1923 al 1925, fu il primo riformatore fascista dell’amministrazione: fu lui a rafforzarne la struttura gerarchico-piramidale ereditata dallo Stato liberale, lui a porre al centro del sistema la Ragioneria generale dello Stato facendone dipendere gerarchicamente le Ragionerie dei singoli ministeri, lui a stringere i vincoli della contabilità di Stato, dei controlli, e ancora lui a fermare l’espansione burocratica del dopoguerra bloccando le nuove assunzioni.

Il risultato non dovette per la verità essere quello che egli si aspettava, se nel 1928 poteva scrivere queste righe sconsolate, nelle quali poneva sotto accusa la legislazione inadeguata e la debolezza dei «comandi» (quanto di più strano, a dire il vero, per un ex ministro di quel governo fascista che proprio del comando aveva fatto la parola chiave per riordinare lo Stato).

 

Molti addebiti che si fanno all’amministrazione dello Stato derivano dalla particolare struttura legislativa di esso Stato. È quello che han voluto che sia i cittadini con le leggi che essi medesimi si sono fatte, e per i principii che hanno voluto accolti in queste leggi. Che ragione hanno di lagnarsene e di rovesciare sull’amministrazione colpe non sue? (..) C’è dunque una malattia legislativa, come c’è una malattia amministrativa. Bisogna essere giusti e dare a ciascuno il suo.

(…) Ma poniamo pure la questione degli impiegati sul terreno che le è proprio. È per gran parte una questione di velocità. Tutti gli aspetti, o quasi tutti, si risolvono in questo. La velocità è un obbligo, e naturalmente, essendo un obbligo fondamentale, non lo si trova nella legge che elenca i doveri del pubblico impiegato. La legge gli consente di non essere veloce. Ma è il suo capo che non deve consentirglielo. Ecco in quali termini si riassume la malattia dell’amministrazione: nella debolezza dei comandi“.

Alberto De’ Stefani, L’oro e l’aratro, Milano, Fratelli Treves Editori, 1929, p. 64 (da un articolo uscito il 15 marzo 1928).