Caro Craxi, autore dei miei otia et negotia

Massimo Severo Giannini fu ministro della Funzione pubblica nei governi Cossiga I e II (aprile 1979-ottobre 1980). Ideò in quella veste una vasta e incisiva riforma dell’amministrazione pubblica, condensandola nel celebre Rapporto Giannini e successivamente articolandone l’istruttoria nelle Commissioni da lui create, affidate ai migliori esperti del problema e inerenti a tutti i temi che ne costituivano le espressioni.

Nella crisi di governo che seguì le dimissioni di Cossiga e l’incarico ad Arnaldo Forlani fu inopinatamente privato dell’incarico ministeriale. Le stesse carte prodotte dalle Commissioni Giannini finirono nel dimenticatoio e ci volle nel 1993 la solerzia di un suo stretto collaboratore amministrativo, il dottor Giancarlo Lo Bianco, per recuperarle e poterle studiare in vista della ripresa del discorso sotto l’egida del ministro di allora Sabino Cassese: discorso che si interruppe di fatto per tredici anni.

In questa lettera personale il Professore, che era stato ministro come tecnico del Psi, si rivolge al leader socialista Craxi con parole sincere e al tempo stesso taglienti: non una lamentela personale, ma una netta lezione di politica impartita a un leader che si vantava egli stesso d’essere maestro di politica. 

 

A Bettino Craxi, Roma, 23 ottobre 1980

Caro Craxi, da ieri sono tornato ai miei otia et negotia, dei quali sei autore. Due domande da farti.

Primo: nei paesi civili quando si vuol dimissionare una persona, c’è l’uso di avvertirla in tempo, se non altro per assicurare la continuità dei servizi.

Secondo: ti degnerai di spiegarmi perché hai rinunciato alla funzione pubblica, che pur ti era offerta dalla Dc (e che potevi tranquillamente assegnare ad uno dei candidati ministri) a favore di quattro ministeri periferici. Ti avevo fatto avere un documento programmatico della funzione pubblica, da cui risultava come essa coinvolgesse circa quattro milioni di persone e una sessantina di strutture (ciò per l’interesse elettorale): non potevi ignorare il seguito di assensi che aveva suscitato nell’opinione pubblica: insomma era un ministero sulla cresta dell’onda, ormai in pieno slancio. Ora accade che se la riforma va avanti, sarà merito della Dc; se si ferma – ed è probabile – sarà demerito del governo; in ogni caso il demerito ricadrà sul Psi.

Che cosa è accaduto? Un errore di prospettiva? O un nuovo episodio dell’antica carenza del socialismo italiano in ordine ai problemi concreti del pubblico potere? O forse un tuo calcolo recondito?

Ti prego di rispondermi, perché se la ragione fosse la seconda, dovrei dedurne che trent’anni di esperienza non hanno insegnato nulla al Psi, e si pone per me nuovamente il problema personale che mi si pose nel 1953.

 

La lettera, oggi nell’Epistolario Giannini conservato nelle sue Carte all’Archivio centrale dello Stato, fu interamente pubblicata nel fascicolo speciale della «Rivista trimestrale di diritto pubblico», 2000, n. 4, pp. 1367-1368.