Calamandrei: bisogna aver visto il carcere da recluso per poter essere giudice di sorveglianza

Piero Calamandrei, avvocato tutta una vita, giurista eminente (fu il principale autore del Codice di procedura civile del 1939), deputato alla Assemblea costituente e membro della Commissione dei 75 che ne scrisse il testo poi approvato in aula, era nel 1948 parlamentare della Repubblica. Intervenendo sulla previsione di spesa del Ministero di grazia e giustizia, si occupò tra l’altro anche dello stato delle carceri, denunciandone la situazione drammatica.

Il magistrato cui si fa cenno nel brano è Pasquale Saraceno, consigliere di Corte d’appello e amico personale di Calamandrei, ucciso nelle ore della liberazione di Firenze da un cecchino fascista. Il giudice teneva quel giorno per mano un bambino, il figlio Pietro, che dovette assistere alla morte del padre. Pietro Saraceno (1940-1998) fu poi uno dei più intelligenti e innovatori cultori della storia della magistratura italiana.

 

Bisogna vedere, bisogna starci, per rendersene conto.

Ho conosciuto a Firenze un magistrato di eccezionale valore che i fascisti assassinarono nei giorni della liberazione sulla porta della Corte d’appello, il quale aveva chiesto, una volta, ai suoi superiori il permesso di andare sotto falso nome per qualche mese in un reclusorio, confuso coi carcerati, perché soltanto in questo modo egli si rendeva conto che avrebbe capito qual è la condizione materiale e psicologica dei reclusi, e avrebbe potuto poi, dopo quella esperienza, adempiere con coscienza a quella sua funzione di giudice di sorveglianza, che potrebbe essere pienamente efficace solo se fosse fatta da chi avesse prima esperimentato quella realtà sulla quale doveva sorvegliare.

Vedere! Questo è il punto essenziale.

 

Atti Parlamentari Camera dei deputati, Leg. I, Discussioni, Seduta pomeridiana del 27 ottobre 1948, intervento di Piero Calamandrei sullo stato di previsione della spesa del Ministero di grazia e giustizia, esercizio finanziario 1948-49, pp. 4174-4175.