Burocrazia anni ’70: Londra o Bisanzio?

Un’interessante inchiesta sulla burocrazia dei ministeri su «L’Espresso» del 1972: dopo la scossa del 1968, le lotte operaie, lo statuto dei lavoratori, la legge sul divorzio,  il miraggio dell’Europa sembra possa agire anche sulle croniche arretratezze italiane.

Un buon giornalista, Claudio Napoli, si interroga sulla che fine farà la burocrazia (ricorre la parola «casta», che non è stata inventata  da Stella e Rizzo).  L’articolo apparso nel supplemento al settimanale romano è pieno di dati e di testimonianze raccolte all’interno dei palazzi e tratte dalle statistiche: origini sociali dei dipendenti pubblici, loro distribuzione nei ministeri, effetti sullo Stato della nascita delle Regioni, estrazione meridionale dei burocrati, loro percorso di formazione (dove hanno fatto le scuole? hanno o no frequentato corsi di formazione? come hanno deciso di fare il concorso?).

Un identikit in bìlico tra il vecchio e il nuovo dell’amministrazione italiana.

Il burocrate italiano è a un bivio: deve decidere se continuare a vivere nel suo «particulare», pago dei protocolli, dei timbri, delle firme, delle competenze, delle carte bollate, o se imboccare una volta per tutte la strada europea. Il suo dilemma è: funzionario borbonico o tecnocrate? La tentazione di andare indietro è grande, basta congelare le cose così come sono, attendere che la legislazione si aggrovigli ancora di più, che leggi, leggine e provvedimenti si accatastino gli uni sugli altri così da formare un peso immane che nessun governo – per quanto rivoluzionario – riuscirà a spostare. Questa strada è semplice: le rivendicazioni si succederanno a catena, un aumento di stipendio a una categoria solleverà tutta la «casta», i parametri saranno sconvolti, commissioni e sottocommissioni studieranno il problema, e intanto la battaglia per la carriera, per gli assetti, per i ruoli, sarà tenuta viva per non arrestare la marcia inesorabile del burocrate italiano. Le migliori leggi saranno eluse e ritardate all’infinito, le più belle riforme resteranno sulla carta. I burocrati amministreranno solo sé stessi.

La strada europea, invece, è difficile. Essa comporta un’operazione di alta chirurgia. Si tratta di operare su un corpo allergico al bisturi, di recidere cordoni ombelicali vecchi e intricatissimi, di intaccare il piccolo orto che ogni statale – piccolo o grande – s’è coltivato lontano dagli occhi indiscreto della stampa e del pubblico. Un’operazione, tanto per intenderci, non da mutua ma da Barnard.

Fra questi poli opposti, funzionario borbonico e funzionario europeo, si snoda il dramma del nostro burocrate, la sua storia, le se frustrazioni, le sue speranze, le sue stesse delusioni. Se le leggi sulla riforma della pubblica amministrazione, in parte già emanate, in parte tuttora in discussione, saranno accettate e fatte proprie dalla «casta» e non sentite come un’imposizione, allora sarà stato fatto un notevole passo avanti. Se no, lentamente, inesorabilmente, si precipiterà all’indietro, e il punto d’arrivo non sarà più Londra, Parigi o Bonn. Sarà Bisanzio“.

Claudio Napoli, Il burocrate. Rapporto sul parassitismo in Italia, in “L’Espresso”/colore, n. 48, 26 novembre 1972.