Andreotti: come si risolve una crisi di governo

Luglio 1976: difficile crisi di governo. Una delle innumerevoli che contrassegnarono la storia della Repubblica. Càpita all’indomani delle elezioni politiche di quell’anno fatidico, che videro il quasi sorpasso del Pci sulla Dc, ancora una volta primo partito, ma rischiando seriamente d’essere travolta dalla grande avanzata del partito di Enrico Berlinguer. Difficile mettere d’accordo i due partiti maggiori. Sul ponte di comando, impegnato nella formazione del nuovo Governo, un capitano di lungo corso: Giulio Andreotti. Ecco il suo diario di bordo, riassunto in poche, efficaci notazioni sui 16 giorni della crisi.

 

13 luglio. I direttivi democristiani hanno presentato a Leone il mio nome, accanto a quello di Moro, che ha già fatto conoscere la sua indisponibilità. Ricevo pertanto l’incarico di formare il Governo e nelle dichiarazioni all’uscita dal Quirinale non posso che promettere di compiere ogni sforzo per far rinascere uno spirito di collaborazione fra le forze politiche che dia vigore ed efficienza alla legislatura e raccolga – superando ogni particolarismo e ogni esiziale polemica – l’esigenza sempre più diffusa fra gli italiani di maggior giustizia e sviluppo civile e sociale. (…). Mi reco, fuori protocollo, a far visita a Saragat che mi incoraggia nella ricerca del possibile, dicendo dottamente che altro è il cogito, altra l’azione. Mi incontro anche con La Malfa, col Governatore Baffi, Stammati e il professor Parravicini (…). Mi aggiorno in politica estera vedendo alcuni ambasciatori, a cominciare da John Volpe e da Rijov.

(…) 15 luglio. Raccomando in Direzione realismo e prudenza (…). Mi domando se sia utile una riunione collegiale sul programma, o se invece siano da evitare inutili complicazioni. Meglio i contatti bilaterali ed un chiaro scambio di posizioni una volta andati alla Camera.

(…) 16 luglio. Ho trovato in tutti i partiti, a cominciare dal mio, buona propensione ad aiutare ogni mio sforzo ma in pratica non c’è modo di dar vita a una maggioranza.

(…). Sulle prospettive di governo, Craxi è molto chiaro e lo dichiara pubblicamente: “Auspichiamo che di fronte al rifiuto della Dc di accedere all’idea di un governo di emergenza sia possibile arrivare ad un atteggiamento comune di tutti i partiti che hanno rifiutato pregiudizialmente tale proposta”. I comunisti sono stati – sia con me che nella dichiarazione alla stampa – molto riservati, ma non credo che faranno naufragare l’unico tentativo oggi possibile, secondo il giudizio di La Malfa. Anche i socialdemocratici e i liberali si orientano per l’astensione.

(…) 29 luglio. Vado a sciogliere la riserva, comunicando al Presidente che in serata gli porterò la lista. È una assicurazione verso i colpi di coda, non certo di Zaccagnini, che mi dice di aver recitato iersera il Rosario per me. Mi è sembrato giusto mantenere il minimo numero dei ministri, diminuendone sette rispetto al governo precedente, del quale ho conservato la collaborazione dei due tecnici già scelti da Moro – Bonifacio e Stammati – e divenuti ora senatori. Ma le due novità su cui si soffermerà certamente la stampa internazionale sono Tina Anselmi al Lavoro e Rinaldo Ossola al Commercio Estero. Per la prima volta nella storia italiana una donna diventa ministro (…). Anche la nomina di Forlani agli Esteri è importante. Si chiude definitivamente la parentesi aperta nel ’73 a Palazzo Giustiniani, quando Forlani ed io fummo gentilmente messi alla porta. Altro rilievo rimarchevole: sette ministri lo sono per la prima volta (…). Alle 20,40 posso andare al Quirinale, mantenendo l’impegno. Il Presidente approva le mie proposte.