Anche per scrivere male ci vuole fatica. La sofferenza di Carlo Dossi impiegato

Carlo Dossi (1849-1910), letterato coltissimo per vocazione profonda ma burocrate per necessità, ricalca in questi tre brani delle sue Note azzurre il cliché universalmente diffuso del poeta o dello scrittore o artista costretto al grigiore dello stile d’ufficio: lo stesso dramma interiore che ritroviamo in Maupassant, in Courteline, in Emilio De Marchi, nei grandi russi e in tanti altri intellettuali imprigionati nella routine delle pratiche interminabili. Il bello stile mal si concilia con l’aridità del linguaggio burocratico.

Io peno assai più a scrivere una minuta d’ufficio di poche righe male che una pagina letteraria bene. Anche per scrivere male ci vuole la sua brava fatica, i suoi appositi studi – starei per dire, il suo genio. Non è cosa da tutti. È indicibile spasimo a me, sempre in cerca di nuove e belle frasi, doverne continuamente scartare appunto perché belle e nuove – sostituendole con altre, vecchie, scriteriate, sconclusionate. E naturalmente le mie minute sono sempre cancellate e corrette dai capi sezione e divisione, i Manzoni e i Danti dello scrivere idiota.

1879. Al Cav. Peiroleri, direttore generale dei Consolati, travet di una buaggine proverbiale, saltano di tratto in tratto delle velleità folologiche, e con ordini del giorno proscrive la tale o tal altra parola dalle note ministeriali. Oggi ha proibito l’uso dell’in attesa e dell’onde, e impone che si metta risultamento al posto di risultato. E con ciò crede di avere ridotto alla buona lingua le scritture del Ministero. Ci vuol altri, amico! Correggi prima il buon senso, poi la sintassi, e quando le avrai corrette, pensa pure alle parole.

Ministero degli Esteri. 1880. Avevo scritto una nota, di quelle in cui si deve dir nulla con molte parole. Il mio capo d’ufficio vi diede un’occhiata, e siccome, per la mia fitta scrittura, appariva breve «va bene» disse «ma parmi un po’ corta. Veda di aggiungervi qualche periodo». Io mi chinai in silenzio, ripresi la nota, e tornato al mio scrittojo, non feci altro che ricopiarla da capo in un largo carattere, a grandi interlinee: poi la riportai al capo ufficio. E questi: «ah, ora sì che va bene» disse, e la passò ai copisti.

C. Dossi, Note azzurre, a cura di D. Isella, Milano, Adelphi, 1964, p. 558 e 578.