Il secondo governo Moro si dimise il 21 gennaio 1966. Pochi giorni prima (il 18, esattamente), nella discussione alla Camera sul disegno di legge relativo alla scuola materna, aveva posto e ottenuto la fiducia. Ma il 19, su una votazione a scrutinio segreto, era stato sconfitto. Ottenuto il reincarico dal presidente della Repubblica Saragat, Moro si mise al lavoro con la consueta pazienza. La crisi durò 34 giorni e si concluse con la formazione del terzo governo organico di centro-sinistra presieduto da Moro. La battuta che qui gli si attribuisce è di fonte giornalistica. L’autorevolezza di chi la riferisce ne fa presumere l’autenticità. Livio Zanetti (1924-2000) era entrato all’ “Espresso” di Arrigo Benedetti nel 1957 come semplice correttore di bozze per poi percorrervi una brillante carriera. Nel 1970 ne sarebbe divenuto il direttore.
Il pezzo occupa la terza pagina del settimanale (allora in formato lenzuolo, arricchito dalle tipiche foto in bianco e nero). Zanetti vi ripercorre le fatiche del presidente designato, lasciando trapelare il pericolo delle elezioni anticipate (che poi in realtà non vi sarebbero state, perché il 23 febbraio nacque appunto il Moro-tre). Registra l’insofferenza dei socialisti che culmina nella pregiudiziale a restare in un governo nel quale fosse ministro Mario Scelba; l’instabilità connessa col “ritorno di integralismo” della Dc, interpretato dall’onorevole Piccoli; i malumori diffusi in altre zone della coalizione. Boatos, indiscrezioni, ma raccolti con scrupolo e messi in pagina con intelligenza. Ed ecco la battuta di Moro riferita da Zanetti:
“Un cammello è un cavallo disegnato da un uomo politico che cerca di formare un governo”.
Fu Aldo Moro, due anni fa, a formulare questo principio di zoologia costituzionale. Il gioco di equilibri e di compromessi che occorre affrontare per mettere insieme un governo di coalizione, specie tra partiti con caratteri e tradizioni assai diversi, è certamente tale da giustificare la battuta”.
Livio Zanetti, È iniziata la crisi del governo Moro. Sarò “lunga”, in “L’Espresso”, 6 febbraio 1966, p. 3.