La Corte costituzionale ammette la firma digitale per consentire alle persone con disabilità la sottoscrizione delle liste elettorali

La sentenza n. 3 del 2025 della Corte costituzionale segna un passo cruciale nel riconoscere la digitalizzazione come strumento di inclusione per le persone con disabilità, affermando che la tecnologia non può essere preclusa quando è l’unico mezzo per garantire l’eguaglianza nella partecipazione politica. Tuttavia, si tratta di una soluzione parziale, in linea con la latitudine del sindacato di legittimità di cui gode la Corte costituzionale, poiché risolve una discriminazione specifica senza invitare il legislatore ad intervenire sulla necessità di una riforma strutturale del processo elettorale, ancorato ad un retaggio ‘pre-digitale’. È il segnale di un cambio di paradigma in atto che lascia aperta la sfida di costruire una democrazia realmente accessibile nell’era digitale. 

 

La sentenza n. 3 del 2025 della Corte costituzionale rappresenta un intervento significativo nell’ambito della tutela dei diritti politici delle persone con disabilità, offrendo una lettura costituzionalmente orientata delle norme che regolano la presentazione delle liste elettorali nelle elezioni regionali. La questione trae origine dal caso di un cittadino affetto da sclerosi laterale amiotrofica (SLA), il quale, impossibilitato a sottoscrivere autograficamente una lista di candidati, aveva chiesto di poter apporre la propria firma mediante uno strumento di firma digitale qualificata. Tale richiesta era stata respinta dalla Regione Lazio, la quale, interpretando l’articolo 2, comma 6, del Codice dell’Amministrazione Digitale (d.lgs. n. 82 del 2005), aveva ribadito che le norme sulla firma digitale non trovano applicazione nell’ambito delle consultazioni elettorali. Il Tribunale ordinario di Civitavecchia, investito della questione, ha sollevato davanti alla Corte costituzionale una questione di legittimità costituzionale, denunciando il contrasto di tale preclusione con gli articoli 2, 3, 48 e 49 della Costituzione. 

 

La Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di tale divieto, ma in termini circoscritti: ha infatti sancito che le norme censurate sono costituzionalmente illegittime nella parte in cui non consentono, ai cittadini elettori affetti da una grave disabilità fisica certificata, di sottoscrivere digitalmente una lista di candidati mediante l’impiego di una firma elettronica qualificata con associato riferimento temporale validamente opponibile ai terzi. In questo modo, la Corte ha operato una scelta di bilanciamento tra il principio di autenticità e genuinità della sottoscrizione, da un lato, e il diritto fondamentale alla partecipazione politica delle persone con disabilità, dall’altro. Tale soluzione non estende l’uso della firma digitale a tutti i sottoscrittori di liste elettorali, bensì lo limita espressamente a quei cittadini che, in ragione di una certificata condizione di disabilità, non siano in grado di apporre una firma autografa. Tale intervento sembra avere, dunque, un carattere settoriale e calibrato, che mira a rimuovere una discriminazione manifesta e ben specifica, ma non incide sulla struttura complessiva delle procedure di presentazione delle candidature, che resta invece ancorata alle logiche “pre-digitali” di sottoscrizione delle firme, e che non coglie dunque nel segno l’ascesa, ormai inarrestabile, della relazione tra tecnologie digitali e sistemi politici (aspetto sul quale si veda G. Sgueo, Pandemie, tecnologie digitali e sistemi democratici). 

 

Infatti, dal punto di vista sistematico, la decisione della Corte mostra un profondo e persistente disallineamento tra la disciplina della raccolta firme per le elezioni e quella prevista per altre forme di partecipazione popolare, come i referendum e le iniziative legislative popolari. In queste ultime ipotesi, il legislatore ha già ammesso l’uso della firma digitale qualificata, riconoscendone la piena idoneità a garantire l’identità e la volontà del sottoscrittore. La mancata estensione di tale possibilità alle elezioni regionali non trova alcuna giustificazione ragionevole, tanto più che la sottoscrizione di una lista di candidati è un atto di natura pubblica e non richiede, a differenza dell’espressione del voto, alcuna segretezza. La firma digitale garantisce, per sua stessa natura, l’identificazione certa del sottoscrittore e la tracciabilità dell’atto, assicurando un livello di affidabilità pari – se non superiore – a quello delle firme autografe raccolte su moduli cartacei. 

 

L’elemento più problematico della decisione consiste tuttavia nella scelta della Corte di limitare la propria dichiarazione di incostituzionalità alle sole persone con disabilità grave, senza cogliere l’opportunità di invitare il legislatore a promuovere un intervento di sistema. La Corte ha riconosciuto, in altre parole, l’irragionevolezza della preclusione alla firma digitale solo laddove questa si traduca in una discriminazione fondata su una condizione personale, in violazione dell’articolo 3 della Costituzione. Ne deriva che, per tutti gli altri cittadini, al momento, la firma digitale resta esclusa dal procedimento elettorale preparatorio, nonostante essa costituisca ormai uno strumento ordinario all’interno delle dinamiche pubbliche e in molte altre attività giuridicamente rilevanti. Questa impostazione, per quanto necessaria rispetto alla latitudine del sindacato di legittimità di cui gode la Consulta, riflette la tradizionale prudenza della giurisprudenza costituzionale in materia elettorale, ambito in cui la Corte costituzionale riconosce al legislatore un’ampia discrezionalità nella scelta dei meccanismi procedurali e delle garanzie formali, discrezionalità che tuttavia non è illimitata e deve comunque rispettare il principio di non manifesta irragionevolezza. 

 

Ciò che emerge è dunque una pronuncia dal carattere essenzialmente riparatorio, volta a sanare una specifica discriminazione, senza affrontare in modo sistematico l’arretratezza complessiva della disciplina elettorale in rapporto alla digitalizzazione. Ciò in quanto la Corte non può intervenire sulle scelte generali di politica legislativa, demandando al Parlamento il compito di un’eventuale riforma organica che possa estendere la firma digitale a tutte le fasi del procedimento elettorale preparatorio. È tuttavia noto che il legislatore italiano si è dimostrato spesso inerte o comunque eccessivamente cauto di fronte a innovazioni tecnologiche in materia elettorale, laddove la preoccupazione per la sicurezza del processo elettorale è stata frequentemente utilizzata come argomento preclusivo, anche laddove non sorretta da reali ragioni tecniche. 

 

In definitiva, la sentenza n. 3 del 2025 rappresenta un risultato significativo sotto il profilo della tutela dei diritti delle persone con disabilità, consolidando il principio secondo cui la tecnologia digitale deve essere utilizzata per rimuovere barriere e favorire l’inclusione, in conformità con il principio personalista di cui all’articolo 2 della Costituzione. Resta ora da vedere se il legislatore saprà raccogliere questo segnale per avviare una riforma di sistema che, nel rispetto delle garanzie di trasparenza e autenticità, consenta di superare definitivamente la rigida distinzione tra documento cartaceo e documento digitale anche nel procedimento elettorale. Se ciò non accadrà, questa sentenza rischia di restare una risposta occasionale e limitata, senza quel respiro innovativo di cui il nostro ordinamento avrebbe bisogno per rendere finalmente effettivo il concetto di cittadinanza digitale (su cui, si veda B. Barmann, Lo Stato Digitale nel PNRR – Servizi Digitali e Cittadinanza Digitale). 

 

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