Apple ascolta i suoi utenti: il caso Siri

Continuano a porsi interrogativi sul rispetto da parte delle Big Tech, e in questo caso di Apple, della privacy degli utenti. Un gruppo di consumatori ha intentato un’azione collettiva contro Apple, sostenendo che l’assistente vocale “Siri” registrasse conversazioni private senza autorizzazione. 

 

Non di rado capita di pensare di essere “ascoltati” dai propri smartphones in diverse occasioni e momenti quotidiani, risultando destinatari di inserzioni pubblicitarie che sembrano essere state elaborate ad hoc per noi. 

È stata questa la ragione che ha spinto un gruppo di consumatori a intentare, nel 2021, un’azione legale collettiva contro Apple. I ricorrenti sostenevano che, da quando, il 17 settembre 2014, è stata introdotta la possibilità di attivare l’assistente “Siri” con il comando vocale, si sono verificati casi di attivazione involontaria, e di conseguente registrazione non autorizzata di conversazioni private, risultando così lesa la privacy degli utenti-consumatori. Questi ultimi diventavano infatti destinatari di annunci pubblicitari riguardanti l’oggetto esatto delle loro conversazioni. 

L’accusa dei ricorrenti era proprio quella che Apple violasse la loro privacy utilizzando, per profilazione e marketing, i dati oggetto dei dialoghi ascoltati da Siri, così vendendoli a soggetti terzi. Apple ha sempre smentito tali affermazioni, sostenendo di utilizzare i dati raccolti solo per migliorare il sistema e di impegnarsi per renderlo sempre più privato. Nel 2019, infatti, nei sistemi Apple è stata introdotta l’impostazione predefinita di cancellazione delle registrazioni audio effettuate da Siri durante le conversazioni con lei. 

Dopo cinque anni dall’apertura del contenzioso – la prima denuncia fu annunciata dal The Guardian nel 2019 –, il febbraio scorso Apple ha accettato di concludere un accordo con i ricorrenti, pagando 95 milioni di dollari (cifra piuttosto bassa per un colosso digitale) e cancellando i dati illecitamente raccolti tramite Siri prima del 2019. Ogni consumatore-utente – il cui Siri si è involontariamente attivato tra il 17 settembre 2014 e il 31 dicembre 2024 – può, in relazione a massimo cinque dispositivi, presentare richiesta di rimborso fino a 20$. 

Sebbene non si tratti di un consistente danno economico per Apple, il caso di specie rappresenta un rilevante punto di approdo e di intervento in materia di tutela dei dati personali, anche in considerazione della modalità di conclusione della controversia. Sanzioni economiche esigue non assolvono, tuttavia, a una concreta funzione deterrente, risultando inefficaci nel prevenire, nel lungo termine, le condotte illecite. Occorre, dunque, riflettere sulla comminazione, nei confronti dei colossi digitali, di sanzioni economiche congrue e adeguatamente afflittive. 

Non è la prima volta che una delle Big Tech viene accusata e conseguentemente sanzionata per violazione della privacy dei consumatori, non sempre informati in modo idoneo sulle modalità di raccolta e utilizzo dei propri dati personali (il tema è stato oggetto di approfondimento in precedenti post dell’Osservatorio: S. Socci, Multe per l’utilizzo di Google Analytics; A. Sola, Facebook spia i dati degli utenti su Snapchat?; G. Taraborrelli, Pubblicità mirate e tutela della privacy: il Garante sudcoreano sanziona Google e Meta). Anche Google, tra il 2019 e il 2021, è stato accusato di ascoltare e registrare, tramite il suo Assistant vocale, audio degli utenti, anche se da loro non attivato. Google avrebbe anche ammesso la veridicità di tale informazione, dichiarando che i suoi dipendenti ascoltano le registrazioni per migliorare il sistema informatico, ad eccezione delle conversazioni sensibili. 

Proprio Google, insieme a Facebook e Amazon, è stato accusato di essere cliente del colosso delle notizie televisive e radiofoniche Cox Media Group (CMG), il cui software di “ascolto attivo” utilizza l’intelligenza artificiale per raccogliere dati sulle intenzioni dei consumatori in tempo reale ascoltando le conversazioni. Gli inserzionisti possono abbinare questi dati vocali a quelli comportamentali per raggiungere i consumatori interessati al mercato. La CMG ha indicato Facebook, Google e Amazon come clienti, non specificando se fossero coinvolti nel servizio Active Listening. Dopo tale accusa Google ha, però, rimosso la società dai suoi “Partners Program”, dissociandosi dalle suddette dichiarazioni insieme a Meta. La questione fa, quindi, luce su sospetti esistenti già da tempo relativi all’ascolto delle conversazioni degli utenti da parte degli inserzionisti. 

Le sfide che il progresso tecnologico pone in materia di tutela della privacy sono numerose. Se da un lato l’accordo raggiunto rappresenta un segnale positivo per il riconoscimento dei diritti degli utenti, dall’altro la modesta entità della sanzione economica solleva interrogativi sull’efficacia deterrente di tali provvedimenti nei confronti delle Big Tech. 

È evidente che il tema della protezione dei dati personali richiede interventi normativi sempre più stringenti e meccanismi di controllo adeguati a bilanciare innovazione e tutela dei consumatori. Il caso Apple, così come quelli che hanno coinvolto Google e altri giganti digitali, dimostra che la consapevolezza degli utenti e la trasparenza delle aziende nell’uso dei dati sono elementi fondamentali per costruire un ecosistema digitale più sicuro ed equo. Sarà quindi cruciale monitorare l’evoluzione della normativa in questo ambito e verificare se in futuro le sanzioni economiche diventeranno più proporzionate alla reale capacità di dissuasione. Solo così si potrà garantire una protezione effettiva della privacy in un mondo sempre più interconnesso. 

 

Osservatorio sullo Stato Digitale by Irpa is licensed under CC BY-NC-ND 4.0