Vita quotidiana di un Ministero. Gino Giugni, la segretaria, l’autista, il funzionario dalle corte bretelle.

Nella sua lunga intervista a Andrea Ricciardi, rilasciata poco prima della sua scomparsa, Gino Giugni (Genova, 1927-Roma, 2009) rievocava i suoi esordi a fianco del ministro del Lavoro Brodolini quale capo dell’Ufficio legislativo nel 1968. Giugni, il cui apporto quale giurista alla elaborazione dello Statuto dei lavoratori fu determinante, sarebbe poi rimasto nelle stesse funzioni dopo la morte “sul campo” di Brodolini (1969), accanto ai suoi successori Donat-Cattin e Bertoldi. In questa pagina egli descriveva, in toni arguti e a tratti sapidi, l’ambiente ministeriale di quegli anni: le segretarie impegnate a lavorare il meno possibile, i panni stesi ad asciugare non si sa da chi alle finestre interne del cortile, l’autista calabrese fidatissimo ma dall’eloquio incomprensibile, il funzionario solerte e intelligente tanto onesto da rifiutare persino il compenso che gli spetterebbe quale co-autore di un volume sullo Statuto. Un piccolo mondo antico, si direbbe, che tutto sommato Giugni rievocava con simpatia, e magari con una nota di nostalgia. In quello stesso Ministero egli sarebbe tornato da ministro nel governo Ciampi del 1993-94.

Alcuni episodi mi sembrano di un qualche interesse per intuire un certo clima ministeriale sul quale, spesso a ragione, si è tanto ironizzato. Penso, ad esempio, alla segretaria che mi venne assegnata quando entrai a far parte del ricordato Ufficio legislativo. Si chiamava B. e si dimostrò ben presto un personaggio molto particolare. Era efficientissima. Allora si scriveva ancora a macchina e all’interno del Ministero c’era una sala copie, intorno alla quale una decina di impiegate tentava di lavorare il meno possibile. Si dedicavano ad altre attività, soprattutto domestiche. Nel cortile interno c’era un’esposizione di panni stesi al sole, non ho mai capito come e chi li portasse. Nella sala copie si rammendava, si lavorava a maglia, si ricamava. La B. era diversa, brillava per la sua estemporaneità nel lavoro. Non era sempre reperibile, ma nei momenti cruciali appariva ed eseguiva i suoi compiti con la massima velocità e destrezza. Le sue ripetute assenze erano dovute al fatto che frequentava regolarmente il bar interno. La mattina, appena arrivata, scendeva per fare colazione. Una volta tornata si metteva a lavorare ma, dopo poco tempo, chiedeva di tornare al bar perché non aveva digerito il cornetto. Più tardi usciva per andare al supermercato di fronte per fare la spesa. Quindi riprendeva il lavoro, ma non per molto: alle due cessava il suo orario. Io ero comunque soddisfatto perché, in quelle poche ore di reale attività, il lavoro procedeva velocissimo.

Non posso poi non menzionare il mio autista. Durante i primi giorni di attività presso il Ministero mi recavo al lavoro con la mia Fiat 500m che ancor’oggi possiedo. Venni ammonito perché non sembrava decoroso che un consulente del ministro arrivasse con la propria auto, per giunta così piccola, e mi fornirono una macchina di servizio con relativo autista: Pascale, che si affezionò moltissimo a me. Era di origine calabrese, un bell’uomo che aveva una particolarità: parlava in modo incomprensibile. Ebbi subito modo di apprezzarlo, non soltanto per il suo servizio quanto per una frase storica che pronunciò un giorno nel traffico: “professò, passiamo di qui, ci mettiamo cinque minuti de più ma arriviamo prima”. Questo mi parve un concetto degno di un grande genio, perché sfidava il tempo e lo spazio. Rimasi sempre in contatto con lui e quando, molti anni dopo, diventai ministro, Pascale fu nuovamente assegnato al mio servizio.

Nello stesso periodo un altro incontro è rimasto indelebile nella mia memoria, quello con il dottor Re. Era un funzionario del Ministero che diede un contributo notevole all’elaborazione dello Statuto. Si può dire che fosse un funzionario d’altri tempi, apparteneva cioè a un mondo diverso che, sicuramente, oggi non esiste più. Serio, conoscitore della materia giuridica, molto riservato, onesto e privo di interessi economici. Si presentava al lavoro vestito sempre irreprensibile, con le bretelle tenute corte in modo che i pantaloni fossero sempre più in alto del punto vita. Rifiutò anche la partecipazione agli utili del primo commento allo Statuto che pubblicai con Freni. Davvero altri tempi.

 

Gino Giugni, La memoria di un riformista, a cura di Andrea Ricciardi, Bologna, il Mulino, 2007, pp. 91-92.