SPID, CIE e il dilemma della frammentazione

Lo Spid dovrebbe consentire un accesso unico a tutti i servizi online delle pubbliche amministrazioni, semplificando gli strumenti utilizzati e le tecniche cui deve ricorrere il cittadino. Se ormai sembra aver preso piede, permangono alcuni nodi di fondo, legati alla stratificazione di sistemi precedenti e, soprattutto, alla convivenza con la Cie – strumento altrettanto valido e recentemente reso molto efficace. La parcellizzazione delle visioni, che spesso ricorre nella vita nazionale, si ripercuote in questo “piccolo mondo” dell’identità digitale.

Il “Sistema Pubblico di Identità Digitale”, o Spid, è stato lanciato nell’epoca della riforma del Codice dell’amministrazione digitale (Cad), in attuazione della legge n. 124 del 2015 (quindi, con con gli interventi delegati del governo del 2016 e del 2017).

Con lo Spid si mira a superare la frammentazione degli accessi ai servizi online delle pubbliche amministrazioni: un sistema unico che consenta al cittadino di superare i numerosissimi sistemi di autenticazione che ogni amministrazione predispone , gestisce e offre autonomamente.

Questa la sua definizione, in base all’art. 64, commi 2-ter e 2-quater, del Cad: “[i]l sistema SPID è costituito come insieme aperto di soggetti pubblici e privati che, previo accreditamento da parte dell’AgID, identificano gli utenti per consentire loro l’accesso ai servizi in rete” Il comma fa rinvio a un decreto di attuazione, che disciplina il metodo con l’Agenzia per l’Italia Digitale è chiamata a svilupparlo. Tale sviluppo tecnico è presente su GitHub.I requisiti devono rispettare gli standard fissati dal Regolamento eiDas (Electronic IDentification Authentication and Signature, regolamento UE n. 910/2014).

Quindi, in modo imperativo, il comma 2-quater stabilisce che “[l]’accesso ai servizi in rete erogati dalle pubbliche amministrazioni che richiedono identificazione informatica avviene tramite SPID. Il sistema SPID è adottato dalle pubbliche amministrazioni nei tempi e secondo le modalità definiti con il decreto di cui al comma 2-sexies. Resta fermo quanto previsto dall’articolo 3-bis, comma 01”. Anche i privati possono consentire l’accesso ai propri servizi tramite Spid (comma 2-quinquies).

L’identità digitale fornita dallo Spid si articola su tre livelli, in base ai requisiti di sicurezza richiesti (maggiori per i servizi più delicati o “a rischio”). Il primo livello permette di accedere ai servizi online attraverso semplici credenziali; il secondo aggiunge un codice temporaneo (o one time password, Otp); il terzo, infine, richiede anche un supporto fisico per poter identificare con “assoluta” certezza il soggetto richiedente.

I provider sono fornitori certificati, accreditati presso l’Agid. Devono possedere determinati requisiti. Quando ne sono stati fissati alcuni troppo stringenti, come quelli di capacità economica, sono stati successivamente rimossi, perché giudicati in contrasto con principî concorrenziali dalla giurisprudenza amministrativa. Attualmente, i fornitori a nazionale sono nove, ma non è escluso che altri sopraggiungano (sono già aumentati rispetto al momento di lancio, nel 2016, in cui erano tre).

Al 24 ottobre 2020, le identità digitali attivate con lo Spid ammontano a più di undici milioni (per la precisione, 11.353.271). Nel 2020 le identità complessive sono raddoppiate (pare che i bonus erogati per l’emergenza pandemica pare abbiano stimolato la sua crescita). Da notare che il Governo dell’epoca aveva puntato a 3 milioni di identità entro il 2016. Questa cifra è stata raggiunta solo a fine 2018; nel 2020, come anticipato, vi è stato un incremento netto, con la curva delle crescite che è salita in maniera molto più decisa, come indica il grafico seguente.

 Andamento Spid. Raggiungumento obiettivo 3 mln di utenze (2018) e sviluppo nel 2020. Fonte: Agid.

Quanto alle amministrazioni attive (che consentono l’accesso tramite Spid), attualmente sono 4.478. L’obiettivo per il 2020 è di diecimila, ma è difficile che si possa raggiungere. Anche qui si può vedere come vi sia un netto ritardo nel conseguimento degli obiettivi prefissi.

 

 

 

 

 

Un problema annoso è quello della coesistenza tra diverse forme di identificazione, come la Carta di identità elettronica (Cie) o la carta nazionale dei servizi (Cns). La Cie è ormai una realtà generalizzata da più di due anni e, al momento, più di diciassette milioni sono già attive. È da considerare, in proposito, che entro il 2026 sarà necessario abbandonare la versione cartacea del documento, ai sensi del Regolamento UE n. 1157/2019. La carta nazionale dei servizi, associata alla tessera sanitaria è stata promossa a lungo (sempre per superare il sistema poliedrico di credenziali), ma al momento è una limbo non molto chiaro (un utilizzo utile è il raccordo automatico tra le spese associate alla tessera e l’inserimento dei relativi dati nel sistema dell’Agenzia delle entrate, per agevolare la dichiarazione dei redditi).

 

Quest’anno, dopo una prima fase di coesistenza, era stato ipotizzato il ricorso, in via esclusiva, allo Spid. Tuttavia, l’articolo 24, comma 2, lett. e), n. 6) del decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76 (cd. decreto semplificazioni), ha stabilito che entro il 28 febbraio 2021 le pubbliche amministrazioni dovranno dismettere i propri sistemi di identificazione autonomi, optando tra lo Spid e la Cie. L’utilizzabilità delle vecchie credenziali sarà consentita fino al 30 settembre 2021. Nonostante il sistema duale del decreto (confermato dalla lettura del comma 2-quinquies, già citato), si trova ancora l’utilizzo del Cns, come avviene con il plan of action dell’Inail che programma la transizione. Già emerge l’assenza di un chiarimento complessivo degli intenti.

 

Ad ogni modo, concentrandoci sul rapporto tra Cie e Spid, possiamo osservare quanto segue. La Cie è gestita ed erogata dal Ministero dell’Interno e dall’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato (Ipzs); sarà disponibile per tutti, in base al preciso obbligo di diritto dell’Unione, prima ricordato; lo Spid è gestito dall’Agid e viene erogato da soggetti privati. Nella prassi, lo Spid è accettato da un maggior numero di servizi rispetto alla Cie, che invece soffre di una minore “apertura” (è accettata dall’Inps e da Roma Capitale, ma non dal Comune di Milano, ad esempio). Allo stesso tempo, lo Spid soffre un minore utilizzo nei Comuni. Tecnicamente, la Cie equivale al massimo livello dello Spid (livello 3), perché contiene i dati biometrici dell’interessato. Per il suo funzionamento, necessita di un “lettore”, che prima era fisico e la rendeva, per questo, poco “friendly”. Ora, invece, sono stati introdotti nuovi sistemi di lettura, come gli smartphone dotati di NFC, che ne consentono l’utilizzo in modo molto più agile. Infine, quest’anno l’app CieID, sviluppata dall’Ipzs, già presente su Android, è stata autorizzata anche sullo store della Apple.

 

Il quadro descritto e i dati attuali portano a qualche considerazione d’insieme.

Primo, anche questo campo conferma che le politiche pubbliche richiedono tempo (spesso, troppo) per essere attuate e spesso le azioni promossa da un governo producono effetti solo durante i governi successivi.

Secondo, vi sono, come in molti altri settori, nette differenze tra amministrazioni nazionali e locali, per cui, come tipicamente occorre nella storia italiana, la frammentazione e la visione parcellizzata prevale.

Terzo, potrebbero esservi risparmi notevoli per le singole amministrazioni, non più chiamate a gestire i propri sistemi autonomi; tuttavia, i costi delle operazioni di livello nazionale sono accresciuti dalla compresenza di due sistemi.

Quarto, manca un coordinamento sistematico tra i sistemi in uso. Ci si trova spiazzati di fronte agli strumenti utilizzabili e la normativa fa poca chiarezza in materia.

In prospettiva, sarebbe utile proporre alle istituzioni una divisione delle funzionalità in base alla materia: favorire il passaggio alla Cie, ma limitarne l’utilizzo solo ad alcuni servizi strettamente connessi con l’identificazione personale (pubblica sicurezza, cittadinanza, spostamenti all’estero, ecc.); ricorrere allo Spid in via residuale, per tutti i restanti servizi, come chiave di accesso alle “prestazioni” erogate dalle amministrazioni. Una maggiore facilità di uso potrebbe consentire di migliorare la situazione complessiva del Paese, innalzando il livello degli indicatori della digitalizzazione (si v. quanto ho scritto su questo Osservatorio, ne Le ‘confessioni’ dell’Indice DESI).

Licenza Creative Commons
Quest’opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione – Non commerciale – Non opere derivate 4.0 Internazionale.