Media e incitamento all’odio: il caso Baltic Media Alliance innanzi alla Corte di Giustizia

Una società di diritto britannico denominata Baltic Media Alliance Ltd distribuisce il canale televisivo NTV Mir Lithuania, destinato al pubblico lituano e con una parte essenziale dei programmi in lingua russa.

Nel maggio 2016, la Commissione radiotelevisiva lituana adottava un provvedimento che imponeva per un periodo di dodici mesi agli operatori che distribuivano via cavo o via internet canali televisivi ai consumatori lituani di trasmettere il canale NTV Mir Lithuania solo in pacchetti a pagamento.

Tale decisione era basata sul fatto che, il mese precedente, sul canale in questione era andato in onda un programma che presentava contenuti che incitavano all’ostilità e all’odio fondati sulla nazionalità nei confronti dei paesi baltici.

La società di distribuzione proponeva quindi un’azione innanzi alla magistratura amministrativa lituana per l’annullamento della decisione, sostenendo che questa era stata adottata in violazione della Direttiva 2010/13/UE relativa alla fornitura di servizi di media audiovisivi, che impone agli Stati membri di garantire la libertà di ricezione e di non ostacolare la ritrasmissione nel loro territorio di programmi televisivi provenienti da altri Stati membri per motivi quali le misure contro l’incitamento dell’odio.

Il giudice lituano rimetteva alla Corte di giustizia una domanda di pronuncia pregiudiziale chiedendo in particolare:

1)      Se l’articolo 3, paragrafi 1 e 2, della Direttiva 2010/13 si riferisca soltanto a casi in cui uno Stato membro di ricezione intenda sospendere la trasmissione e/o la ritrasmissione o se esso riguardi anche altre misure adottate dallo Stato membro di ricezione al fine di limitare in altro modo la libertà di ricezione e la ritrasmissione dei programmi.

2)      Se il considerando 8 e l’articolo 3, paragrafi 1 e 2, della medesima direttiva debbano essere interpretati nel senso che vietano agli Stati membri di ricezione, dopo che questi hanno accertato che in un programma televisivo ritrasmesso e/o distribuito via Internet da uno Stato membro dell’Unione europea sono stati pubblicati, trasmessi e distribuiti contenuti rientranti nell’articolo 6 della direttiva sui servizi media audiovisivi, ovvero che incitano all’odio basato su razza, sesso, religione o nazionalità, di adottare, senza che ricorrano le condizioni previste all’articolo 3, paragrafo 2, di tale direttiva, una decisione che impone alle emittenti di ritrasmissione operanti nel territorio dello Stato membro di ricezione e alle altre persone che forniscono i servizi di distribuzione dei programmi televisivi via Internet l’obbligo temporaneo di garantire che il programma televisivo sia ritrasmesso e/o distribuito via Internet solo in pacchetti di programmi televisivi disponibili previo pagamento di un canone supplementare.

Nella pronuncia adottata lo scorso 4 luglio, la Corte ha constatato che non costituisce un ostacolo ai sensi dell’articolo 3 della Direttiva summenzionata una misura nazionale che, in maniera generale, persegue un obiettivo di ordine pubblico e disciplina le modalità di distribuzione di un canale televisivo ai consumatori dello Stato membro di ricezione, dal momento che simili modalità non impediscono la ritrasmissione propriamente detta di tale canale. Una misura di tal genere non istituisce, infatti, un secondo controllo della trasmissione del canale in questione oltre a quello che lo Stato membro di emissione è tenuto a effettuare.

Per quanto riguarda la misura in questione, la Corte ha sottolineato che, al fine di tutelare la sicurezza dello spazio dell’informazione lituano nonché di garantire e preservare l’interesse pubblico a una corretta informazione, considerata l’influenza particolarmente significativa della televisione sulla formazione dell’opinione pubblica, con l’adozione della legge lituana sull’informazione il legislatore lituano intendeva contrastare la diffusione attiva di contenuti che screditano lo Stato lituano e ne minacciano la qualità di Stato.

Tra i contenuti della specie figurano quelli che invitano rovesciare con la forza l’ordine costituzionale lituano, incitano a minare la sovranità della Repubblica di Lituania, la sua integrità territoriale e la sua indipendenza politica, consistono in propaganda bellica, incitano alla guerra o all’odio, al ridicolo o al disprezzo, incoraggiano la discriminazione, la violenza o le rappresaglie fisiche contro un gruppo di persone o contro un membro di tale gruppo in ragione, in particolare, della sua nazionalità.

La decisione controversa era stata adottata sulla base del rilievo che uno dei programmi trasmessi sul canale NTV Mir Lithuania presentava informazione false e che incitavano all’ostilità e all’odio fondati sulla nazionalità nei confronti dei paesi baltici, riguardanti la collaborazione di lituani e lettoni nell’ambito dell’Olocausto e la politica interna dei paesi baltici asseritamente nazionalista e neofascista, politica che avrebbe costituito una minaccia per la minoranza russa residente nel territorio di tali paesi.

Tale programma si rivolgeva, secondo la LRTK, in maniera mirata alla minoranza russofona della Lituania ed era finalizzato, mediante diverse tecniche di propaganda, a influenzare, in maniera negativa e suggestiva, l’opinione di detto gruppo sociale sulla politica interna ed estera della Lituania, dell’Estonia e della Lettonia, ad accentuare la divisione e la polarizzazione della società, a sottolineare la tensione creata all’interno di detta regione dell’Europa orientale dai paesi occidentali e il ruolo di vittima della Federazione russa.

A parere della Corte, una misura della specie persegue, in maniera generale, un obiettivo di ordine pubblico. Tale decisione, inoltre, non sospendeva o non vietava la ritrasmissione di questo medesimo canale nel territorio lituano, poiché tale canale, nonostante detta decisione, può continuare ad essere legalmente diffuso in tale territorio e i consumatori lituani possono continuare ad accedervi, purché sottoscrivano un pacchetto a pagamento. Di conseguenza, una misura come quella in questione non impedisce la ritrasmissione propriamente detta, nel territorio dello Stato membro di ricezione, delle trasmissioni televisive del canale televisivo, oggetto di tale misura, provenienti da un altro Stato membro.

La Corte ha pertanto concluso nel senso che una simile misura non rientra nell’ambito di applicazione della Direttiva, formulando quindi la seguente risposta al quesito pregiudiziale:

L’articolo 3, paragrafi 1 e 2, della direttiva 2010/13/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 10 marzo 2010, relativa al coordinamento di determinate disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri concernenti la fornitura di servizi di media audiovisivi (direttiva sui «servizi di media audiovisivi»), deve essere interpretato nel senso che una misura di ordine pubblico, adottata da uno Stato membro, consistente nell’obbligo, per i fornitori di servizi di media le cui trasmissioni sono destinate al territorio di tale Stato membro e per ogni altra persona che fornisce ai consumatori di detto Stato membro un servizio di distribuzione via Internet di canali o di programmi televisivi, di trasmettere o ritrasmettere nel territorio di questo medesimo Stato membro, per un periodo di dodici mesi, un canale televisivo proveniente da un altro Stato membro solo in pacchetti a pagamento, senza tuttavia impedire la ritrasmissione propriamente detta nel territorio di tale primo Stato membro delle trasmissioni televisive del suddetto canale, non rientra nell’ambito di applicazione in tale disposizione.