Un cittadino marocchino precedentemente destinatario di un provvedimento di allontanamento dal territorio francese, trovandosi a bordo di un pullman proveniente dal Marocco veniva sottoposto a controllo, nel territorio francese, in prossimità della frontiera che separa Francia e Spagna. Sospettato di essere entrato illegalmente nel territorio francese, veniva sottoposto a fermo di polizia; nei suoi confronti veniva adottato un decreto recante l’obbligo di abbandonare il territorio francese e un ordine di trattenimento amministrativo.
Investita dall’appello relativo alla sentenza con la quale i giudici di primo e secondo grado avevano annullato il termo di polizia, la Corte di Cassazione chiedeva alla Corte di giustizia se, ai sensi della Direttiva 2008/115/CE, una frontiera interna su cui sia stato ripristinato il controllo in base a esigenze di ordine pubblico e sicurezza interna sia equiparabile a una frontiera esterna, e se, di conseguenza, uno Stato membro possa legittimamente disapplicare la procedura di rimpatrio prevista dalla medesima direttiva.
Nella sentenza resa lo scorso 21 marzo, la Corte di giustizia dell’Unione europea ha affermato che l’articolo 2, paragrafo 2, lettera a), della c.d. direttiva rimpatri, in combinato disposto con l’articolo 32 del regolamento (UE) 2016/399 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 marzo 2016, che istituisce un codice unionale relativo al regime di attraversamento delle frontiere da parte delle persone (codice frontiere Schengen), deve essere interpretato nel senso che non si applica al caso di un cittadino di un paese terzo, fermato nelle immediate vicinanze di una frontiera interna e il cui soggiorno nel territorio di uno Stato membro è irregolare, anche qualora tale Stato membro abbia ripristinato, ai sensi dell’articolo 25 di tale regolamento, il controllo a tale frontiera, in ragione di una minaccia grave per l’ordine pubblico o la sicurezza interna di detto Stato membro.
Il comunicato stampa relativo alla sentenza è disponibile qui.